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Perché il salvadanaio ha la forma di un maiale? I riti di gennaio nella tradizione contadina

Anche in Trentino il giorno di sant'Antonio era legato al rito della macellazione del "salvadanaio" di casa. Ecco alcune curiosità

Nel mondo contadino l'anno nuovo si apre con uno dei riti più importanti: il mese di gennaio un tempo era dedicato alla macellazione del maiale. Un vero e proprio evento, al quale veniva chiamata ad assistere e a partecipare tutta la famiglia. Tradizionalmente la data prevista per il rito è quella di sant'Antonio Abate, 17 gennaio. Ancora oggi in alcuni paesi del Trentino in quel giorno il parroco si reca nelle fattorie a benedire gli animali. I ritratti del "santo del porcello", ritenuto patrono degli animali domestici, si trovano comunemente in stalle e porcili.

Perché proprio a gennaio?

Il periodo non è scelto a caso. Le temperature del mese più rigido dell'anno garantivano le condizioni più idonee possibili alla macellazione. "Sant'Antoni de genàr, torte e gnòchi cogn' far" recita l'adagio. Cioé: bisogna approfittarne finché ce n'è, ovvero consumare la carne fresca prima che vada a male. Una causa pratica che, però, ha anche risvolti molto suggestivi per la filosofia contadina. L'anno si apriva con un evento di importanza fondamentale, che costituiva una sorta di "bilancio" dell'annata precedente. Il porco, insomma, "restituiva" tutto: ecco perchè è l'animale prescelto per raffigurare il salvadanaio, da rompere una volta all'anno.

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Se è vero che, come dice il proverbio trentino, "ruganti nèti no' i vèn grassi", è anche vero che il maiale veniva pasciuto abbondantemente ed allevato con cura quasi maniacale, igiene a parte ovviamente. Solitamente una famiglia ne allevava uno, al massimo due. Da quel maiale doveva provenire gran parte della scorta di carne per tutto l'anno, dalle abbuffate di carnevale fino alle merende autunnali a base di lardo salato e speck. Ogni pezzo, ogni taglio, aveva una particolare lavorazione e nulla veniva sprecato. 

"Del maiale non si butta via niente"

Ad essere consumate per prime erano le parti più deperibili, incluso il sangue con il quale si facevano dei salami chiamati "sanguinacci", diffusi in diverse regioni italiane. Carrè, costine, stinchi ed altre parti "nobili" venivano consumate relativamente in fretta, mentre altri grandi pezzi venivano salati e affumicati per ottenere speck e pancetta. Le "scodeghe", ovvero le cotiche, finivano immancabilmente in una zuppa di fagioli, che ancora oggi non a caso è un piatto tipico a carnevale.

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Ma la tradizione trentina abbonda anche di insaccati autoctoni che non si trovano in nessuna altra parte d'Italia come la 'mortandèla' (in Val di Non), la 'ciuìga' (tipica del Banale), ed il salume trentino per eccellenza, ovvero la 'luganega'. 'Luganega' è la parola trentina per l'italiano 'salame'. Esistono dunque 'luganeghe' (al plurale) di tutti i tipi: fresche (ottime con la polenta), stagionate, lunghe, corte, "'nfumegàde" cioè affumicate, e così via. C'è un paese in Val di Non, Tassullo, dove esiste addirittura un concorso per decretare "la lugiàngia pù bòna" della valle.

Perché il salvadanaio ha la forma di un maiale?

Per tutte queste lavorazioni occorreva spesso l'occhio di un esperto, un macellaio del paese che prestava il proprio servizio nelle varie famiglie, ma anche tanta "manodopera". Per questo l'uccisione del maiale era spesso un rito che riuniva la famiglia e veniva atteso con trepidazione da tutti. Un momento fondamentale nell'economia della casa. Basti pensare alla forma del salvadanaio. Secondo alcune teorie l'usanza di forgiare vasi in creta a forma di maiale deriverebbe dal ruolo che questo animale ha rivestito per secoli nella vita dei nostri avi: rendeva ciò che gli veniva dato.  

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