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Basket, intervista a Gallinari prima della partita con la Finlandia

"Per noi sarà importante capire a che punto siamo in vista delle qualificazioni all'Europeo da metà agosto a metà settembre. Affrontare Finlandia, Montenegro e Bosnia sarà un bel banco di prova"

Nato l’otto agosto del 1988, altezza 208 centimetri, numero di maglia? Ovviamente la numero 8. Dal 22 febbraio 2011 in forza ai Denver Nuggets che lo hanno acquistato dai New York Knicks, lo scorso 25 gennaio ha firmato il nuovo contratto da 42 milioni di dollari con la franchigia del Colorado, accordo che lo legherà ai Nuggets fino al 2012.  Di chi stiamo parlando? Del giocatori di basket italiano in assoluto più forte e completo del momento, non ce ne vogliano Andrea Bargnani e Marco Belinelli, gli altri due atleti nostrani impegnati in Nba, ma Danilo Gallinari rappresenta il top del movimento cestistico azzurro. E proprio oggi giocherà insieme ai suoi compagni di nazionale la prima gara della Trentino Basket Cup al PalaTrento alle ore 20.30. Avversari di turno la Finlandia. 

Gallinari, dopo una settimana di ritiro a Folgaria finalmente arriva il momento di scendere sul parquet. Cosa si aspetta da questa manifestazione? 
“Intanto devo dire che agli ordini di coach Simone Pianigiani abbiamo svolto davvero un buon lavoro, sia sotto il profilo della quantità che dal punto di vista qualitativo, il tutto in una località davvero meravigliosa che prima di questo stage non conoscevo. Per noi sarà importante capire a che punto siamo in vista delle qualificazioni all’Europeo che ci vedranno protagonisti da metà agosto a  metà settembre. Affrontare Finlandia, Montenegro e Bosnia sarà un gran bel banco di prova”.
 
Lei è l’unico italiano impegnato in Nba ad aver risposto presente alla convocazione. Perché?  
“Chiaramente non sono nella testa di Bargnani e Belinelli e quindi non giudico la loro decisione. Per quello che mi riguarda posso solo dire che per me è un onore indossare la maglia azzurra e in secondo luogo che in questo gruppo mi trovo davvero bene. So benissimo che anche i compagni si aspettano moltissimo dal sottoscritto, ma questo non mi spaventa, anzi direi che mi dà stimoli ancora maggiori. Spero con tutto me stesso di riuscire ad ottenere il pass per gli europei anche se non sarà affatto semplice. Oltre la Turchia ci sono formazioni come Bielorussia e Portogallo che possono rivelarsi più ostiche del previsto. Comunque noi dobbiamo semplicemente continuare a lavorare con serietà e determinazione, e poi sono certo che i risultati non tarderanno ad arrivare”. 
 
Passando dal campo europeo a quello a stelle e strisce quale sarà l’obiettivo dei suoi Nuggets la prossima stagione? 
“La società si sta muovendo in modo tale da costruire una squadra che possa qualificarsi ai play off. Si tratta di un obiettivo molto ambizioso ma assolutamente alla nostra portata”.
 
Dopo quattro anni in Nba si sente di essere entrato perfettamente nei meccanismi dello show? 
“Non vi nascondo che all’inizio le difficoltà sono state davvero tante anche per gli infortuni alla schiena che mi hanno letteralmente perseguitato. Stiamo parlando di due pallacanestro diverse, direi quasi due sport diversi. Il basket che si gioca in Italia ma più in generale in Europa non ha nulla a che vedere con l’Nba. Diciamo che quando tornerò a Denver avrò bisogno di riabituarmi a ritmi molto più elevati, ad una fisicità straripante e ad una qualità incredibile. 
 
Lo sport italiano, così come il resto della società, sta attraversando un momento di grossa crisi. Cosa si potrebbe mutuare proprio dall’Nba per riuscire, almeno in ambito sportivo, a superare le difficoltà? 
“E’ una domanda molto difficile proprio perché, come vi ho detto prima, stiamo parlando di due mondi diversi. Negli Stati Uniti si fa tutto per il business, nessuno muove un passo se non c’è un ritorno economico sicuro, non dimentichiamo poi il salary cup che non concede alle franchigie di superare un determinato budget per pagare gli stipendi ai propri tesserati. Anche il fatto che non siano previste retrocessioni rende “la vita” più semplice a quelle squadre che magari incappano nella stagione sbagliate e le tensioni sono ovviamente minori. Con grande sincerità e franchezza devo però dire che tutti questi fattori, e molti molti altri, li vedo difficilmente trasportabili nello sport italiano. Si tratta proprio di una questione di cultura non solo di organizzazione diversa”. 
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