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Cronaca Cles

Verità e giustizia per Sara Pedri, parlano i colleghi a Chi L'Ha Visto: «ferri chirurgici che volavano addosso alle persone»

La Procura di Trento ha aperto un fascicolo, gli inquirenti hanno in mano computer e telefono della giovane. Quel telefono lasciato sul sedile dell'auto, ritrovata in località Mostizzolo, a Cis, dove anche a metà giugno erano in atto le ricerche. Anche un hashtag per questa storia #veritàpersarapedri

Verità per Sara Pedri, anche un hashtag per sostenere la causa. Sono sempre di più le persone che vogliono capire cosa sia accaduto alla giovane ginecologa di Forlì scomparsa il 4 marzo da Cles. Tre mesi dopo circa, il 9 giugno, è andata in onda su Chi L'Ha Visto? la sua storia. Non solo un appello di ricerca persona, ma anche di ricerca di dettagli, di una verità che la sorella Emanuela e la mamma Mirella Sintoni sanno esserci, forse ben nascosta, ma non poi così tanto se si considera che una settimana dopo quella puntata qualcosa si è mosso. E la giornalista Federica Sciarelli ha mostrato nuove immagini, nuovi dettagli della vicenda. Dai video di Sara che manda baci ai nipoti, che inquadra il suo gattino nero, fino agli audio dove racconta le giornate lavorative. Quello che si è mosso, va detto, è imponente. Perché le testimonianze sono arrivate in Procura, ma anche al microfono della giornalista Raffaella Griggi. 

All'indomani della prima puntata di Chi L'Ha Visto? sulla vicenda di Sara, durante una conferenza stampa, è stato chiesto al direttore Antonio Ferro se avesse notizie, informazioni e aggiornamenti su questo caso. «È un fatto che risale a mesi e mesi fa su cui ovviamente mi sono subito interessato come direttore sanitario per cercare di capire cosa fosse successo» ha affermato Ferro. «Devo dire che, a una prima indagine interna che è stata fatta, non ci sono elementi oggettivi per ritenere che ci sia una connessione diretta tra questa sparizione e il lavoro. Perché la dottoressa era stata presa nella ginecologia di Cles, poi il punto nascite era chiuso ed era stata messa in reparto a Trento per fare esperienza. Da quello che abbiamo vedere dall’indagine interna, non ha mai fatto un turno da sola o sotto particolare stress da quando è stata a Trento. Poi lei era ritornata a Cles. Lei ha avuto un colloquio con il primario di Cles, che era molto dispiaciuto per le sue dimissioni volontarie. Non abbiamo più avuto notizie, come atti oggettivi non abbiamo elementi, lettere o segnalazioni di problematiche collegate. Siccome è una vicenda pesante che ha riguardato e riguarda il reparto, abbiamo intenzione di approfondire la situazione. So che c’è un’indagine in corso».

La Procura di Trento ha aperto un fascicolo, le indagini sono in corso e gli inquirenti hanno in mano computer e telefono della giovane. Quel telefono lasciato sul sedile della sua auto, ritrovata in località Mostizzolo, a Cis, dove anche a metà giugno erano in atto le ricerche, coordinate dal Capitano della Compagnia dei carabinieri di Cles, Guido Quatrale e sotto la direzione del Commissariato del Governo. Ricerche che non si sono interrotte. Tante le segnalazioni che sono arrivate nel tempo ai militari dell’Arma e prontamente verificate. A giugno sono ripartite le ricerche anche nella zona del torrente e del lago, nonostante la portata dell’acqua ora, come avviene in questo periodo dell’anno, sia triplicata e renda più difficili ogni movimento. Si torna a cercare nel luogo dove è stata trovata l'auto che le telecamere del centro di Cles avevano ripreso alle 6.38 del mattino di quel 4 marzo. 

Le ricerche di Sara Pedri

Il racconto di Emanuela sembra farsi ancora più reale dopo l'ultima puntata di Chi L'Ha Visto?, quella del 16 giugno. Un mercoledì intenso, perché i racconti, in anonimo, con volto coperto e voce distorta, sono molti: «Alcune di noi sono già state chiamate a testimoniare dal Pm» si legge in uno dei messaggi arrivati al programma. «Abbiamo già rilasciato già nei dettagli sia nel cambiamento di Sara, sia certi avvenimenti di urla, etc...». Risulterebbero alcune denunce di medici in reparto e quel clima così difficile raccontato da Emanuela viene confermato dai diversi testimoni. «In sala operatoria c'erano ferri chirurgici che volavano addosso alle persone, anche per un "non nulla"» racconta una donna. «Venivano allontanate dalla sala operatoria. Oppure, magari, anche ginecologi che erano bravi non li facevano più andare in sala operatoria. Proprio venivi annullata. Ti fanno sentire una nullità, ti fanno mettere in dubbio ciò che tu da decenni fai tutti i giorni e cercano di trovare lo sbaglio, l'errore anche se non c'è pur di metterti in crisi». E poi, ancora: «Non si respira un'aria serena. Si respira la paura di sbagliare, la paura di sbagliare perché non ci si fida di nessuno». 

«Purtroppo se c'era qualche problema non si poteva avere la possibilità di discutere né di parlarne» racconta un'altra. «Semplicemente, si veniva accusati e processati. Era veramente una sensazione di sentirsi incapaci». Sara era felice di aver vinto quel posto di lavoro, lo avevano raccontato anche le amiche e colleghe di studio di Catanzaro a TrentoToday, nei primi momenti in cui la giovane dottoressa era scomparsa. In quei primi momenti in cui nessuno, o quasi, riusciva a capire cosa fosse accaduto. Eugenia, una ginecologa che era nello stesso reparto di Sara e ha vinto una causa ha parlato con Chi L'Ha Visto? raccontando al telefono di Griggi che: «Le colleghe hanno parlato riferendosi alla mia situazione di mobbing, di accanimento, di cose mai viste, di cose disumane, di cose che mi portavano diciamo a voler andar via. Io ho chiesto l'aiuto anche dei vertici, insomma, perché ho iniziato prima a telefonare al direttore sanitario, al direttore generale ma non sono stata mai ricevuta. Ho trovato un clima di omertà a tutti i livelli». 

E poi il racconto di un altro medico, che è andato via dall'ospedale e che ha trovato la forza di parlare dopo che è venuto a conoscenza della storia di Sara: «All'interno del Santa Chiara, in tantissime occasioni, mi sono sentito isolato e mi sono sentito anche abbandonato, non valorizzato. Il caso di Sara mi ha spinto a voler parlare e a riferire quella che è stata un po' la mia di esperienza, perché mi ha molto colpito e perché credo che senza un intervento sostanzialmente migliorativo e comunque di cambiamento abbastanza radicale, forse anche ai vertici dell'azienda, questo potrebbe essere il primo caso di molti». 

Emanuela, la sorella, sa che Sara non era più serena, non era più quella carica di energia e vitalità come tutti ricordavano. Seppure ancora una funesta ipotesi, i familiari pensano al peggio, ma non si fermano. «Nessuno mi ridarà mia figlia» dice mamma Mirella alle telecamere di Chi L'Ha Visto con voce spezzata, «però, se il suo sacrificio può essere utile a qualcun altro, questo ben venga». Vogliono arrivare alla verità, c'è bisogno di sapere cosa sia accaduto a quella giovane donna e il motivo. «La paura di Sara è stata tanta e forse non è stata capita fino in fondo» dice ancora una donna. «È il momento di parlare, perché non ci sia un'altra Sara e perché ciò che è successo a Sara possa cambiare».

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