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Perché si dice "andar sotto al tiglio"? Ecco la storia dell'albero simbolo di piazza Duomo

L'unico albero della piazza è legato alla storia di Trento da più di due secoli. I colori caldi dell'autunno, le luci natalizie in inverno, e la fresca ombra d'estate lo rendono uno dei luoghi più amati e fotografati della città

Piazza Duomo è il cuore di Trento. In un luogo solo si trovano, infatti, diversi monumenti simbolo della città: c'è il Duomo, naturalmente, dedicato a san Vigilio martire e patrono del Trentino; c'è il "castelletto", dimora dei vescovi prima della costruzione del Buonconsiglio, con la sua Torre Civica dove sventola orgogliosamente la bandiera giallo-blu. Ci sono le facciate affrescate degli edifici rinascimentali sul lato nord della piazza, e la Fontana del Nettuno con il tridente, altro emblema della città del Concilio. C'è, però, anche un altro elemento che conferisce alla piazza un tocco unico. Non si tratta di un edificio o di un monumento ma di un ben più umile albero: il tiglio che si trova alla base della torre.

Un simbolo di libertà nella piazza del Concilio

"Andar sotto al tiglio" è ancora espressione usata se non proprio dai trentini di oggi, quantomeno dai loro nonni. In pochi, tuttavia, conoscono l'origine di questa frase. Il tiglio di piazza Duomo ha segnato il ritmo delle stagioni per diverse generazioni di trentini. I Ogni anno, puntualmente, si tinge con i colori caldi dell'autunno, ed in anni recenti si "accende" al calar del sole, nel periodo natalizio con splendide luci. Protagonista su Instagram di scatti iconici della città postati da trentini e turisti, non solo durante il foliage autunnale, l'unico albero della piazza è ormai una "star" dei social.

La sua storia, però, è poco conosciuta. Sembra che l'albero, o un suo avo (come spiegheremo meglio tra poche righe), sia stato piantato dai soldati francesi di Napoleone, o forse dai loro epigoni trentini, durante il breve "governo" rivoluzionario trentino nei primi anni dell'800. L'Albero della Libertà era infatti uno dei simboli della Rivoluzione Francese. Potevano essere di diverse specie, tra cui cedri o querce, ma non è infrequente in Italia in quel periodo trovare dei tigli piantati come augurio alle neonate Repubbliche napoleoniche.

"Andar sotto al tiglio": ecco perché

Con il passare dei decenni, e la restaurazione del potere vescovile ed imperiale, il tiglio divenne un elemento funzionale della piazza. Con la sua folta chioma offriva ombra durante l'estate, e riparo dalla pioggia, tanto che divenne presto luogo di ritrovo temporaneo di chi un tetto non lo aveva. L'espressione, rimasta in uso fino ad oggi, è infatti sinonimo di "far fagotto", andarsene a causa di uno sfratto, di un licenziamento, o perfino di una lite coniugale. Insomma: essere sbattuti in mezzo ad una strada, trovarsi improvvisamente senza certezze, essere costretti ad adattarsi, ad arragiarsi in un modo o nell'altro. E dove andava, un tempo, chi finiva in questa situazione? Sotto al tiglio, naturalmente.

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Questo fece sì che chi fosse in cerca di un nuovo lavoro o di una nuova casa si trovasse sotto l'albero, spesso con i pochi averi racchiusi in un baule o su un carretto. E così chi cercava manodopera a buon mercato sapeva dove trovarla: sotto al tiglio. Il giornalista Gian Pacher, che ha narrato le memorie della città a cavallo tra un secolo e l'altro, nel suo libro "Cara vecchia Trento" (vedi nota in fondo all'articolo) descrive come le "ciòde", ovvero le donne che cercavano lavoro a servizio delle famiglie della città, si trovassero sotto al tiglio aspettando di essere assunte. Queste donne, spiega l'autore, venivano da piccoli paesi del Veneto, e questo spiegherebbe l'origine del nome: dal tipico intercalare "ciò", per i trentini divennero le "ciòde".

Dall'800 ad Instagram: tre generazioni di tigli

Queste donne si offrivano come collaboratrici domestiche, ma potevano anche trovare lavoro presso lo stabilimento di bachi da seta che c'era allora nella vicina via Verdi. C'erano, scrive sempre Pacher, anche i "ciòdi", capifamiglia in cerca di lavoro, ovvero la variante maschile delle "ciòde". In questo caso, spesso, si trasferivano a Trento con tutta la famiglia e "facevano sapere che tutti nella famiglia avevano con sè il cucchiaio di legno, con il quale avrebbero divorato la panàda della sera" si legge nel libro. Una zuppa di pane che, spesso, rappresentava il pasto più consistente della giornata. Pacher cita il cronista Antonio Pranzelores secondo cui il "mercato delle ciòde" sarebbe stato vietato qualche anno prima della Grande Guerra, e quindi prima dell'annessione al Regno d'Italia. Il mercato fu vietato, poiché "assumeva talora aspetti da operetta uso Campane di Corneville", insomma era ritenuto troppo destabilizzante per svolgersi nella piazza più importante della città.

Il tiglio napoleonico che ospitò i senzatetto e le "ciòde" per più di un secolo c'è ancora oggi. Com'è possibile, visto che non sembra essere così vecchio? Ebbene, secondo Mauro Lando ed Alessandro Gadotti, autori della guida "Alberi maestri nella città e nel territorio di Trento" il tiglio di oggi sarebbe nipote di quello di Napoleone. Si tratterebbe infatti della terza generazione di tigli, provenienti dallo stesso esemplare, abbattuti e ripiantati. Il "figlio" dell'originale era presente in piazza Duomo fino al 1982 quando, dopo essere stato giudicato pericolante a causa di una malattia, venne abbattuto e sostituito qualche anno dopo con l'attuale. Dalla Rivoluzione Francese alla rivoluzione digitale il tiglio è, oggi, protagonista immancabile delle fotografie che ogni giorno vengono pubblicate sui social network. 

Il tiglio di piazza Duomo a Trento

Le informazioni citate in questo articolo sono prese dal libro "Cara vecchia Trento" di Gian Pacher edito da Curcu e Genovese

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