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Lunedì, 29 Aprile 2024
Ambiente

Fusione del permafrost in alta montagna, lo studio del progetto Euregio

Libera università di Bolzano, fondazione Edmund Mach e Accademia austriaca delle scienze assieme per analizzare l'inquinamento delle acque alpine dovuto al cambiamento climatico

L’innalzamento delle temperature nell’atmosfera sta provocando la scomparsa dei ghiacciai alpini. La riduzione delle distese di ghiaccio sulle cime delle montagne è ormai visibile a occhio nudo, oltre che nei raffronti fotografici tra diversi decenni. Ma non è solo la classica distesa bianca di ghiaccio a scomparire: il processo riguarda anche il permafrost, ovvero il suolo permanentemente gelato. Nelle Alpi, la forma più comune di permafrost è rappresentata dai cosiddetti “rock glaciers”, spesse coltri di detrito simili a ghiaioni, ma contenenti ghiaccio al loro interno. Al pari di quello visibile e spettacolare dei ghiacciai, il permafrost influisce sulla quantità e qualità delle acque di sorgenti, ruscelli e torrenti che scorrono nelle nostre vallate.

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Per studiare gli effetti - ad oggi ancora poco noti - sui sistemi idrologici ed ecologici dello scioglimento dei rock glaciers sull’inquinamento delle acque alpine, nelle prossime settimane partirà uno studio congiunto di Libera università di Bolzano, fondazione Edmund Mach e Accademia austriaca delle scienze. La ricerca durerà tre anni.

Fondazione Mach studio permafrost-2

Ruscello alimentato da rock glacier in alta val Mazia. Le concrezioni bianche sono dovute alla precipitazione di metalli pesanti legate al basso pH delle acque

Il progetto Euregio in partenza, denominato “Rock-me”, mette in comune le competenze dei tre partner per determinare la composizione chimica e la dinamica ecologica nelle acque derivanti dalla degradazione del permafrost alpino di alta quota, che in Alto Adige è abbondante a quote elevate, sopra i 2.400 metri.

I problemi legati alla fusione dei rock glaciers

Nelle sorgenti alimentate dai rock glaciers - ancor più che in quelle derivanti da ghiacciai - si trovano disciolte numerose sostanze chimiche, tra cui alcuni metalli pesanti che spesso vengono rinvenuti a concentrazioni elevate. Nonostante non si sappia ancora bene quale sia l’origine di queste sostanze, la contaminazione delle acque è un potenziale problema ambientale. “Spesso vi si rinvengono, in quantità variabili, metalli pesanti come nickel, zinco, addirittura uranio a seconda del tipo di roccia, anche sei volte superiori ai limiti dell’acqua potabile”, spiega il professor Francesco Comiti che insegna “Gestione delle risorse idriche e del sedimento” alla facoltà di Scienze e tecnologie.

“Con le nostre misurazioni vogliamo andare a capire da dove questi provengano e poi osservare quali sono le conseguenze della presenza di questi elementi sugli ecosistemi fluviali”, precisa Stefano Brighenti, assegnista di ricerca nella stessa facoltà. “Analizzeremo se e come i metalli pesanti si trasferiscono e si accumulano nelle reti trofiche dei torrenti di alta quota”, spiega Monica Tolotti, ricercatrice in idrobiologia della fondazione Mach. 

La ricerca, grazie all’analisi isotopica, punterà a determinare anche la provenienza dei metalli pesanti, per scoprire se essi sono caratteristici del luogo oppure se si sono depositati nel corso dei decenni in conseguenza dell’inquinamento atmosferico. Sulla base delle risultati che si otterranno, sarà quindi possibile pianificare una gestione idrica dei bacini d’alta quota, soprattutto per il loro utilizzo nell’irrigazione o come acqua potabile, nel contesto del cambiamento climatico. Il progetto fornirà informazioni anche in merito alle resistenze dei microbi ai metalli pesanti, che possono rendere inefficaci molti antibiotici. 

Gli attori coinvolti

Il team dell’Accademia austriaca delle scienze che partecipa al progetto è composto da glaciologi e geologi. A loro sarà affidato il compito di effettuare l’analisi delle rocce e sviluppare modelli previsionali glacio-idrologici. La fondazione Mach di San Michele all’Adige affronterà invece lo studio degli effetti ecologici di concentrazioni di metalli così elevate sugli organismi acquatici tramite l’identificazione di invertebrati e batteri viventi sul fondo dei corsi d’acqua, la ricostruzione delle loro interazioni nelle reti trofiche mediante l’uso di isotopi stabili, e infine la valutazione dei processi di accumulo e concentrazione dei metalli pesanti negli organismi acquatici.

Infine, la Libera università di Bolzano si occuperà del monitoraggio idrologico e della misurazione delle concentrazioni degli isotopi stabili dell’acqua - traccianti naturali molto utili per capire da dove proviene l’acqua dei torrenti (neve, ghiaccio, pioggia) - unitamente all’analisi dei geni di resistenza microbica, in collaborazione con la fondazione Mach. 

“Andremo a monitorare i deflussi idrici delle sorgenti alimentate da rock glaciers - conclude Comiti - e sulla base di queste rilevazioni potremo realizzare modelli previsionali che ci consentiranno, includendo le proiezioni sull’aumento delle temperature, di stimare quanto i rock glaciers contribuiranno alla concentrazione di metalli pesanti nelle acque superficiali, e dove tali concentrazioni raggiungeranno una soglia critica per il loro utilizzo”.

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