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La richiesta

"Basta con un certo animalismo, è ora di abbattere orsi e lupi problematici"

Le dichiarazioni del presidente della federazione provinciale allevatori

“Non si può chiedere alla nostra categoria di rinunciare a sé stessa in nome di un animalismo che attribuisce al singolo carnivoro gli stessi diritti di una persona umana, senza considerare le immani sofferenze degli altri animali al pascolo”. Queste le parole di Giacomo Broch, presidente della Federazione provinciale allevatori, in una conferenza stampa convocata dall’ente per “denunciare la pesante situazione in cui versano centinaia di realtà produttive, assediate dalla minaccia quotidiana di lupi e orsi”.

L’intervento ha avuto inizio dopo la proiezione di alcune foto di carcasse animali: “Le immagini che vi mostriamo rappresentano la cruda verità legata alla predazioni che avvengono ormai quotidianamente sulle nostre malghe – spiega Broch – siamo consapevoli dell’orrore che provocano queste fotografie, tuttavia abbiamo deciso di renderle pubbliche per documentare il dolore indescrivibile e lancinante che subiscono gli animali predati. E ci sembra doveroso ricordare in proposito il monito del grande alpinista sudtirolese Reinhold Messner quando afferma che una pecora vale quanto un orso o quanto un lupo e quindi ha tutto il diritto di vivere in pace”.

I danni causati dalle predazioni riguardano inevitabilmente anche gli allevatori stessi: “Con questi animali (gli allevatori) tessono rapporti che durano generazioni e sono alla base dei valori che motivano queste difficili scelte di vita – prosegue il presidente della federazione - e senza dimenticare le pesanti conseguenze economiche, i mancati investimenti, le perdite di produzione nei confronti delle quali i risarcimenti suonano spesso come una vera e propria beffa”. 

I numeri della mattanza

Il numero di aggressioni da parte dei carnivori agli allevamenti non sembra diminuire significativamente rispetto agli anni scorsi: “L’anno scorso i capi di bestiame domestico uccisi dai predatori sono stati ben 825 – dichiara Broch – per il 2023 l’andamento sembra essere simile. Il Rapporto carnivori 2019 indica inoltre 19 incontri ravvicinati fra uomo e orso solo l’anno scorso, e in quattro di queste occasioni l’animale ha rappresentato una minaccia manifestando comportamenti aggressivi”.

A poco sono valsi anche gli investimenti fatti per aumentare la sicurezza degli allevamenti: “Dalla Lessinia alle Valli del Noce, dal Lagorai alle Giudicarie l’aumento della presenza dei grandi carnivori ha messo a nudo l’inefficacia e l’insufficienza delle misure di prevenzione fin qui adottate come nel caso dei recinti elettrificati e dell’utilizzo dei cani da guardiania – prosegue l’allevatore – “Recenti aggressioni sottolineano la capacità di apprendimento di questi animali nel superare le barriere frapposte dall’uomo e l’acquisizione di forme comportamentali altrettanto inedite che sottendono la perdita di inibizione e paura nei confronti della comunità umana”.

Una riflessione, dunque, sul significato della montagna e degli allevatori che la coltivano: “Viviamo purtroppo tempi in cui la montagna non è raccontata da coloro che la vivono ma da coloro che la idealizzano, decantando le lodi della wilderness, della natura selvaggia e del paesaggio inselvatichito che si riprende ciò che gli apparteneva da quando non esistevano né l’agricoltura, né gli allevatori – conclude Broch – secondo questa visione, tipica di coloro che vivono in contesti urbani, ecco che i montanari sono vissuti come un corpo estraneo alla montagna stessa piuttosto che come coloro che la coltivano. Ma se perdiamo gli alpeggi, se gli allevatori si ritirano dalla montagna non viene meno solamente il presidio fisico di questi luoghi: vengono meno le basi culturali ed etiche sulle quali si è formata la nostra Autonomia e il nostro sistema mutualistico.”

“Proponiamo pertanto – conclude il presidente – che si riprenda con forza la proposta di contenimento generalizzato della presenza dei grandi carnivori con l’abbattimento immediato dei soggetti più problematici e un piano di riduzione nelle aree soggette al presidio degli allevatori.”

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