In Italia rischiano di sparire 800 professioni per via dell'automazione
Lo studio dell'Università di Trento: fino a 7 milioni di persone potrebbero essere rimpiazzate dalle macchine
Professioni a rischio a causa dell'automazione e dell'avanzamento della tecnologia. Nei prossimi anni saranno le macchine a fare concorrenza ai lavoratori: sono 800 le professioni a rischio, per un numero di persone che rischiano di essere "sostituite" che oscilla tra i 4 e i 7 milioni. Lo dice uno studio che coinvolge il dipartimento di Economia e Management dell'Università di Trento, ed è stato pubblicato sulla rivista "Studio e Mercato".
Chi rischia di più è il personale addetto a contabilità, consegne, casse dei negozi, centralini, portierato e assemblaggio. Figure addette alla scuola dell’infanzia, alla cura e all’assistenza, imprenditori e imprenditrici invece non devono temere la concorrenza tecnologica: le capacità loro richieste di gestione della complessità, di relazione interpersonale empatica e intelligenza creativa ne rendono il rimpiazzo solo un’ipotesi remota.
Lo studio "Rischi di automazione delle occupazioni: una stima per l’Italia" porta la firma di Mariasole Bannò (prima Università di Trento, ora Università di Brescia) con Emilia Filippi e Sandro Trento (Università di Trento). Il lavoro si inserisce tra le analisi sulle tecnologie digitali nel mondo del lavoro e l’impatto sulle persone occupate in termini di numerosità e di disuguaglianze per i profili di più facile sostituzione. Bannò, Filippi e Trento per la prima volta hanno calcolato in modo puntuale per l’Italia la probabilità di automazione delle 800 professioni individuate e offrono dei suggerimenti per mitigarne i rischi.
"Nella stima della probabilità di automazione è considerata l’esistenza di tre limiti tecnici all’automazione totale. Questi limiti sono legati a tre capacità ancora strettamente umane: la capacità di percezione e di manipolazione (la capacità di orientarsi in situazioni destrutturate e complesse e di maneggiare oggetti), l’intelligenza creativa (la capacità di produrre idee nuove e di valore) e l’intelligenza sociale (la capacità di rispondere a una controparte umana in modo intelligente ed empatico)" spiegano gli autori.
Il caso italiano viene studiato attraverso due approcci: uno fondato sull’idea che sono le professioni a essere automatizzabili (occupation-based approach) e l’altro secondo cui sono invece le singole attività lavorative a esserlo (task-based approach). In base al metodo applicato, la quota di lavoratori e lavoratrici ad alto rischio di rimpiazzo tecnologico nei prossimi anni in Italia varia tra il 33% (7,12 milioni di persone) e il 18% (3,87 milioni).
In Italia, le professioni con probabilità di automazione alta riguardano trasporti e logistica, supporto d’ufficio e amministrativo, produzione, servizi e settore della vendita. Invece le professioni con una probabilità di automazione bassa si riferiscono a management e finanza, ambito legale, scuola, assistenza sanitaria, arte. "Queste professioni con rischio basso di rimpiazzo tecnologico richiedono un livello di istruzione elevato e sono caratterizzate da una quota rilevante di compiti strettamente umani, tra cui creatività, adattamento, gestione delle relazioni interpersonali, formazione, influenza, collaborazione con altre persone" sottolineano. Mentre a presentare probabilità di automazione media sono i settori artigianale e dei media.
Lo studio si sofferma poi sulla discrepanza tra automazione potenziale (il livello di automazione tecnicamente possibile) e automazione effettiva (il livello di automazione che effettivamente viene realizzata). In Italia, infatti, per la presenza diffusa di imprese di piccole e medie dimensioni spesso a controllo familiare, la ridotta capacità di investimento, la bassa adozione di tecnologie avanzate e una serie di altri fattori, l’automazione effettiva potrebbe essere minore di quella attesa. Al di là di questo, la perdita di posti di lavoro e la marginalizzazione di alcune tipologie professionali restano comunque un pericolo in Italia ed è per questo che la ricerca si conclude con l’indicazione di tre tipi di intervento.
Innanzitutto, dovranno essere creati nuovi posti di lavoro con attività non automatizzabili per offrire occupazione a chi è stato rimpiazzato dalla tecnologia e proteggerlo dal rischio di ulteriore sostituzione. La creazione di posti di lavoro dovrà perciò avvenire in settori quali i servizi alla persona, il turismo, la sanità e l’istruzione. "A tal fine, potrà essere necessario sviluppare la finanza per l’innovazione al fine di sostenere le start up più dinamiche e rivedere la tassazione del lavoro e il cuneo fiscale per rendere il lavoro umano conveniente".
Il secondo tipo di intervento è legato all’istruzione e alla formazione pre-ingresso e durante l’intera vita lavorativa. "Inoltre, in aggiunta alle competenze tecniche, sembrano rilevanti le capacità creative, l’attitudine al problem solving, le capacità sociali e relazionali. È perciò auspicabile la progettazione di un sistema di formazione che parta dalle relazioni scuola-lavoro e dall’apprendistato per poi fornire un re-skilling, uno skilling-upgrade per gli adulti".
Infine, Bannò, Filippi e Trento si concentrano sul veloce aumento dell’automazione delle professioni che si osserva anche in Italia: "La rapidità con quale le nuove tecnologie sembrano distruggere posti di lavoro rende necessaria una riflessione sul sistema di sostegno generalizzato al reddito di chi perde lavoro".