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La fuga dall'incubo della guerra e le braccia trentine che accolgono

Fait: “Da ieri allestita una stanza per scaldare biberon e cambiare i bambini. Qui facciamo la prima accoglienza, poi smistiamo sul territorio”. L’assessora Maule: “Dobbiamo essere consapevoli che l’emergenza non finirà presto”

E’ difficile dormire in questi giorni all’ostello di Trento, si sta sempre all’erta perché dall’Ucraina le persone arrivano anche in piena notte. Alle 4 di mercoledì 9 marzo, insieme ai suoi collaboratori, la responsabile dell’ostello Eleonora Fait ha accolto l’ultimo gruppo: sono 11 persone in tutto, tra di loro un bambino nato il 6 dicembre scorso, solo tre mesi di vita e già quindici giorni di guerra. Insieme a lui sono arrivate le mamme e le nonne, tutte stravolte dal viaggio, portate in macchina fino in via Torre Vanga da cittadini di Trento che, tra andata e ritorno, hanno fatto migliaia di chilometri per portare in salvo chi fugge dalle bombe.

L’ostello “Giovane Europa” è un luogo di transito, il porto sicuro di chi sta scappando. Qui la gente viene accolta, accudita e rassicurata. Gli sfollati sfollati del conflitto scoppiato in Ucraina a fine febbraio, vengono poi accompagnati in altri luoghi, sul territorio.

“In questo momento ne ospitiamo 36 - racconta la responsabile Eleonora Fait -. Quando arrivano ci preoccupiamo innanzitutto dell’accoglienza immediata. Poi facciamo la segnalazione all’Apss, che interviene per i tamponi, e al Cinformi. Infine cerchiamo di favorire la socializzazione”.

Proprio per aiutare le tante giovani mamme arrivate dall’est, dall’8 marzo all’ostello c’è un piccolo “rifugio”, uno spazio intimo, privato e protetto: è la stanza “Tatiana”, chiamata così dal nome della volontaria ucraina che l’ha allestita.

“Abbiamo tanti bimbi piccoli, tante fragilità. Per questo abbiamo preparato questo angolo dove le mamme possono scaldare una pappa o un biberon a qualsiasi ora. C’è un bollitore, la macchina per fare il caffè lungo, il microonde, ci sono i biscotti lasciati da qualche cittadino, il fasciatoio, i pannolini. Il Comune ha potenziato l’energia elettrica, la protezione civile ci ha portato le panche per la terrazza su cui si affaccia la stanza, Tatiana e i volontari dell’associazione Aiutiamoli a vivere si alternano per fare assistenza, coordinare, recuperare scarpette e vestitini. Dobbiamo pensare anche alle visite pediatriche per i piccoli provati da un viaggio lunghissimo. Sempre il Comune domani ci manderà i clown per intrattenere i bambini”.

L’ostello è aperto anche ai turisti, attualmente ci sono due ospiti. “Al primo piano ci sono solo le persone arrivate dall’Ucraina, ma le prenotazioni turistiche restano aperte - precisa Fait -. Del resto l’ostello ha un’anima sociale, è una proprietà pubblica, non potremmo fare altrimenti che accogliere”.

Ogni giorno si gestiscono non solo gli arrivi, ma anche le partenze, racconta ancora Fait: “Ieri una famiglia è stata trasferita ad Andalo, mentre un ragazzo ipovedente è stato accolto a Villa Sant’Ignazio”. Alla domanda, “Cosa vi serve?”, Eleonora risponde: “Preghiere”. Poi aggiunge: “Rispondo con le parole di Tatiana, che ieri mi ha detto: adesso si ricordano di noi, tra un mese ci dimenticheranno. Invece abbiamo bisogno che la gente non dimentichi queste persone”.

Un’opinione condivisa anche dall’assessora alle Politiche sociali Chiara Maule, che con il servizio Welfare sta coordinando una rete per l’accoglienza: “Abbiamo mobilitato i Nidi, le educatrici del servizio Infanzia, il punto Famiglie, il centro Genitori bambini, lo sportello Affetti speciali, la rete Intrecci: insieme cerchiamo di raccogliere le disponibilità ad ospitare o ad aiutare in qualche modo i profughi per poi dare risposta alle esigenze concrete delle persone che sono state accolte. Certo, c’è il rischio che passata l’onda emotiva di questi primi giorni, con le immagini della guerra che hanno sconvolto ciascuno di noi, la normale quotidianità torni a prevalere. Dobbiamo invece essere consapevoli che l’emergenza non finirà tanto presto e che la nostra vicinanza al popolo ucraino, alle famiglie in fuga, ai bambini prime vittime della guerra, dovrà tradursi in uno sforzo duraturo - di accoglienza e di convivenza - che coinvolgerà a lungo la nostra comunità e ciascuno di noi”.

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