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Referendum giustizia: cosa c'è da sapere per votare il 12 giugno

Sono cinque i quesiti su cui gli italiani saranno chiamati a esprimersi

Il 12 giugno si vota per il referendum sulla giustizia. Dei sei quesiti che erano stati presentati dalla Lega di Matteo Salvini e dai Radicali italiani - spiega Stefano Pagliarini su Today - sono cinque quelli che hanno passato il vaglio della Corte Costituzionale:

Quesito numero 1: abrogazione legge Severino

Il quesito numero uno ci chiede se vogliamo eliminare la legge Severino. Partiamo dunque dal capire che cosa sia questa norma. Chiamiamo col nome “Legge Severino” ( dal nome dell’allora ministro della Giustizia Paola Severino) il Decreto legislativo 235 del 2012, con il quale sono state introdotte delle disposizioni sull’incandidabilità di un politico a ricoprire cariche politiche o che introducono la decadenza del politico dal mandato.

È incandidabile chi ha commesso reati per cui è previsto il carcere ed è stato condannato in via definitiva:

  • a più di due anni per i delitti di allarme sociale
  • a più di due anni per i delitti contro le pubbliche amministrazioni (Per esempio peculato, concussione, corruzione).
  • a più di due anni per i delitti non colposi per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.

Se un politico viene condannato in via definitiva per uno di questi reati mentre ricopre una carica, determina la decadenza dal mandato, ma non prima che si sia espressa la Camera di appartenenza di quel politico. Questo vale per tutti i candidati, dalle comunali al Parlamento.

Se dovesse vincere il sì, verrebbe abrogato il decreto e si cancellerebbe così l’automatismo. In pratica non c’è più il decadimento o l’ineleggibilità automatica. Torna a essere il giudice che, in udienza, decide, in caso di condanna, di applicare o meno l’interdizione dai pubblici uffici.

Quesito numero 2: misure cautelari

Il quesito numero due vuole limitare le misure cautelari. Può aiutare un breve focus su cosa siano le misure cautelari. Sono delle limitazioni alla libertà personale che, in fase di indagine, il pm (pubblica accusa) può chiedere di applicare su un indagato. Lo chiede al Gip (Giudice per le indagini preliminari) che può acconsentire o respingere. Le misure cautelari si dividono in personale e reali. Le prime agiscono sulla persona (per esempio custodia in carcere, arresti domiciliari, ma anche la sospensione della potestà genitoriale), le seconde vanno ad agire sui beni (per esempio sequestro di somme di denaro, di conti correnti o di altri beni di proprietà di qualcuno). Affinché si possa avere una misura cautelare, ci deve essere uno degli elementi di garanzia. Sono tre: il pericolo che la persona indagata sia a rischio di ripetere il reato (pensiamo ad un omicida seriale); il pericolo di fuga (per esempio se una persona non sia stabile in Italia e abbia i soldi per fuggire); inquinamento delle prove.

Se dovesse vincere il sì, verrà abrogata la motivazione della possibile reiterazione del reato. Questo non significa che un killer potrebbe restare a piede libero perché resterebbe in vigore la carcerazione preventiva per chi commette reati più gravi, ma si porrebbe un freno alla carcerazione preventiva, di cui in Italia si fa spesso uso (i promotori del referendum parlano di “abuso”) per giustificare l’arresto.

Quesito numero 3: separazione delle carriere dei magistrati

Il quesito numero 3 riguarda la separazione delle carriere dei magistrati. In che senso? Il nostro sistema giustizia di basa tutto su una separazione delle parti. C’è il pm che accusa, ci sono gli avvocati che difendono e poi ci sono i giudici che sono super partes e devono giudicare chi ha ragione fra accusa e difesa. Al momento però c’è un problema. Cioè c’è permeabilità fra chi accusa e chi giudica. Per cui, in teoria, ci sono magistrati che, dopo aver passato un decennio a fare indagini, diventano poi quelle figure neutre che dovrebbero guardare con distacco e equilibrio il dibattimento in cui si formano le prove. Si alternano, anche in tempi brevi ed è anche capitato che lo facessero nello stesso processo.

Se dovesse passare il sì, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera che ruolo vuole avere: se la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale.

Quesito numero 4: valutazione dei magistrati

Il quesito numero quattro del referendum mira ad abrogare le norme sulle competenze dei membri laici nei Consigli giudiziari. Facciamo un passo indietro. Il Csm (di cui composizione e funzioni sono spiegate nell’ultimo quesito) ha fra le sue funzioni quello di valutare l’operato dei magistrati. Lo fa sulla base delle valutazioni che arrivano dai Consigli giudiziari, che sono organi ausiliari composti da cariche appartenenti alla magistratura e laici (professori universitari e avvocati) sparsi nei territori. Ad oggi la valutazione della professionalità e della competenza dei magistrati viene fatta solo dai magistrati che compongono i Consigli e non dai laici.

Se dovesse passare il sì, anche i professori universitari e gli avvocati potrebbero dire la loro nel giudizio dei magistrati, incidendo sulle relazioni che poi arrivano sulla scrivania del Csm. Così si uscirebbe dal cerchio per cui sono sempre i magistrati a giudicare altri magistrati.

Quesito numero 5: riforma Csm

Il quesito numero cinque va a modificare le modalità con cui si eleggono i membri del Csm. Intanto facciamo uno scatto fotografico di cos’è il Csm e quale è il suo ruolo. E’ un organo di rilievo costituzionale attraverso il quale la magistratura (civile e penale) si autogoverna, serve anche a garantirne l’autonomia e l’indipendenza. E’ composto da membri di diritto e da membri elettivi. I membri di diritto sono, oltre al Presidente della Repubblica (che lo presiede), il primo presidente  della Corte di cassazione e il Procuratore generale della Corte costituzionale. I membri elettivi sono per due terzi eletti da tutti i magistrati di ogni ordine e grado e per un terzo sono eletti dal Parlamento, riunito in seduta comune, a maggioranza qualificata (almeno i due terzi dei votanti).

Il referendum vuole cambiare il sistema di elezione della maggioranza togata. Ad oggi infatti un magistrato che vuole essere eletto, deve trovare dalle 25 alle 50mila firme per essere eletto. Un fatto che determina una cosa: chi vuole entrare nel Csm deve essere sostenuto da una corrente. Le correnti cono ciò che i promotori del referendum vogliono depotenziare. Dopo il caso Palamara, Radicali e Lega vogliono eliminare il vincolo fra eletti e correnti, in modo tale che il Csm sia formato da indipendenti, sperando così di bloccare lo strapotere dei “partiti dei magistrati” che decidono spostamenti di magistrati e nomine, seguendo logiche di interesse e non di merito.

Se dovesse vincere il sì, verrebbe eliminata la raccolta firme e si tornerebbe alla legge originale del 1958, che prevedeva che tutti i magistrati in servizio potessero proporsi come membri del Csm presentando semplicemente la propria candidatura. I promotori del referendum sono convinti così di far tornare al centro il magistrato e le sue qualità personali e professionali, non gli interessi delle correnti o il loro orientamento politico.

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