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Microbioma intestinale: Ötzi stava meglio di noi

Lo studio delle università di Trento e Bolzano rivela come nei paesi industrializzati sia diminuita la presenza di un batterio fondamentale per la digestione, ritrovato nel corpo della mummia

Il nostro avo Ötzi, vissuto 5.300 anni fa, stava meglio di noi. Non solo perché se ne andava a spasso sulle montagne senza doversi preoccupare di bollette e contratti telefonici, questo si può solo supporre, ma perché aveva un microbioma intestinale più "sano" del nostro. La conferma arriva da una ricerca congiunta dell'Università di Trento e dell'Eurac Research di Bolzano.

Uno studio del DNA dei batteri della mummia del Similaun, ritrovata nel 1991 nel ghiacciaio della Val Venosta al confine tra Austria ed Italia, ha rivelato un'importante presenza del batterio itestinale Prevotella copri, importantissimo per la digestione. Ötzi ne aveva molti più di noi. Cosa ha determinato l'impoverimento del nostro bioma intestinale? Si pensa che la causa sia connessa con l'industrializzazione: paradossalmente il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, l'evoluzione della dieta e degli stili di vita hanno cambiato drasticamente il microbioma dell'uomo moderno. Non ovunque, però. 

Microbioma più debole con l'industrializzazione

La ricerca ha infatti incrociato i dati rilevati sulla mummia dei ghiacci con quelli raccolti dai ricercatori di Trento in oltre 6.500 soggetti provenienti da tutti i continenti. Il risultato è che i batteri di Ötzi, fondamentali per la digestione, si ritrovano in quantità maggiori negli abitanti dei Paesi non industrializzati. 

L'indebolimento riguarderebbe, quindi, solamente l'Occidente industrializzato. Questo spiegherebbe anche l'insorgenza nelle popolazioni occidentali di obesità, malattie autoimmuni e gastrointestinali nonchè delle inspiegabili (all'apparenza) allergie. "Il cambiamento della dieta, più ricca di grassi e povera di fibre, lo stile di vita più sedentario e urbanizzato, lo sviluppo di nuove abitudini igieniche e la diffusione di antibiotici e altri medicinali hanno senz’altro reso la nostra vita più sicura, ma hanno anche avuto un impatto sul delicato equilibrio del nostro microbioma" spiegano i ricercatori del CiBio di Trento. 

Lo studio pubblicato sulla rivista "Cell Host & Microbe"

Il batterio Prevotella copri è associato alla digestione di fibre vegetali complesse. Nella popolazione occidentale colonizza circa il 30% dell'intestino. Non si tratta però di una sola specie ma di quattro specie distinte, altra novità contenuta nello studio. "Abbiamo notato che almeno tre di queste quattro specie sono quasi sempre tutte presenti nelle popolazioni non-occidentalizzate, ma sono invece molto meno prevalenti nella popolazione occidentale. E quando invece in queste ultime si trova, vi è tipicamente una sola delle quattro specie - spiega Nicola Segatta, uno dei coordinatori della ricerca -. Abbiamo ipotizzato che il complesso processo di occidentalizzazione abbia una grossa influenza sulla possibile perdita di tale batterio. La nostra ipotesi è stata confermata dall’analisi di DNA antichi a cui abbiamo avuto accesso grazie alla collaborazione con Frank Maixner dell’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research. Nell’intestino dell’Iceman, infatti, tre delle quattro le specie sono chiaramente identificabili". 

L'articolo è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista "Cell Host & Microbe" e promette di aprire nuove prospettive sullo studio dell'evoluzione del microbioma nelle popolazioni. Uno campo di ricerca fondamentale per comprendere alcune patologie contemporanee, in questo caso grazie a dei dati che arrivano direttamente dal Neolitico. Ancora una volta il nostro antenato ci ha aiutato a conoscere meglio noi stessi.

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