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Perché così tanti morti in Italia? Tutto quello che (ancora) sfugge sul virus

Il Sars-CoV-2 e Covid-19 non si conosce ancora bene, è piombato nella vita di tutti da circa un anno. La scienza ha bisogno di tempo. Gli esperti: «I dati dei decessi ci pongono tante domande. Dobbiamo guardare a Oriente per capire»

Sono tanti i punti di domanda che si frappongono tra le diverse notizie che giornalmente arrivano sul Sars-CoV-2 e Covid-19. L'11 marzo del 2020 l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha descritto l'emergenza in atto come una pandemia, che sta a indicare la manifestazione collettiva di contagio che ha la capacità di diffondersi in maniera molto rapida e sui diversi territori. 

La scienza ha bisogno di tempo per comprendere come non farsi sopraffare dalla situazione che ha sconvolto la vita di tutti. Today, in un approfondimento sul tema, ha riportato una riflessione di Giovanni Landoni, professore che coordina l'attività di ricerca in anestesia e rianimazione nell'Irccs ospedale San Raffaele di Milano e nell'università Vita-Salute San Raffaele. Lui è il primo autore di uno studio condotto con colleghi russi, in cui si prova a spiegare l'estrema variabilità che caratterizza la mortalità Covid nei diversi Paesi del mondo e il divario fra Oriente e Occidente su questo fronte. «Guardare ai dati dei morti di  Covid-19 ci pone tante domande - riflette Landoni -. Non ci dormiamo la notte su questa elevata letalità che sembra caratterizzare l'Italia e l'Europa. Viaggiamo per congressi, sappiamo qual è la situazione medica asiatica, e la discrepanza» dell'impatto di Covid-19 «fa riflettere. C'è qualcosa che ci sfugge. Dobbiamo guardare a Oriente per capirlo.  Come Marco Polo dobbiamo fare un 'viaggio' scientifico in quella direzione per imparare quello che ci manca».

Che cosa non sappiamo sul coronavirus

Perché i Paesi asiatici stanno superando il mondo occidentale nel controllo della pandemia di Covid-19? A pesare potrebbero essere più fattori che vanno dall'età media delle popolazioni, alla cultura ed esperienza passata con emergenze di questo tipo. Persino fumo e Dna potrebbero giocare un ruolo. Non solo il lockdown, insomma. «Si è detto 'la Cina nasconde i dati, usa metodi autoritari', eppure queste differenze non sono solo con il gigante asiatico, ma con diversi altri Paesi di quel continente. Paesi in cui le persone abitano in contesti più sovraffollati dei nostri e hanno standard medici inferiori ai nostri - osserva all'Adnkronos Salute - E allora perché? Da una parte c'è tutto un aspetto culturale che è sotto gli occhi di tutti e va esplorato per capire come migliorare le nostre  strategie. E poi c'è l'ignoto: noi lanciamo due o tre ipotesi che hanno tutte un appiglio, ma non stiamo dicendo che sono senz'altro le argomentazioni giuste. Di certo c'è che non capiamo qualcosa di  comportamentale».

Fra le suggestioni avanzate dai ricercatori ce n'è una che chiama in causa anche la genetica, prosegue Landoni, o meglio «modelli genetici protrombotici», che «sono meno comuni in Asia che nel resto del mondo». Su questo il ricercatore spiega: «Parlando con gli esperti di coagulazione loro dicono che siamo due mondi diversi da questo punto di vista genetico. Ci sono tutta una serie di 'geni protrombotici' che io dico sempre ci hanno permesso di sopravvivere a tante guerre (vuol dire sanguinare meno) ma ci fanno morire di 'MicroClots' correlata a Covid-19», quella sindrome infiammatoria che ha come target soprattutto l'endotelio, la parete interna dei vasi, a livello polmonare, e come conseguenza comporta manifestazioni trombotiche in una percentuale significativa di casi, che peggiorano il quadro.

Basta questo a spiegare le differenze di mortalità con l'Asia? Probabilmente no, poi andando a  vedere la mortalità per gruppi d'età ci sarebbero differenze ma non clamorose fra le varie aree. Quindi resterebbe predominante il fattore dell'età media della popolazione, «molto più alta in Italia e in generale in Europa». I numeri andranno poi analizzati più in là nel tempo, con tutte le informazioni necessarie sottomano. Ma intanto «facciamo come Marco Polo - invita Landoni - In questa fase forse dobbiamo imparare dall'Oriente. Ha senso guardare a Est sia se si pensa che sia tutto un fatto di lockdown, privacy, software hi tech e rispetto delle regole, perché quindi c'è qualcosa da imparare. Ma anche se riteniamo ci siano delle spiegazioni alternative, che siano il cibo o il fumo o altri fattori che ci sfuggono. Perché anche in questo caso dobbiamo capire. E scoprire e imparare quello che ancora ci manca è importante. Con questo virus dobbiamo conviverci ancora a lungo. Sicuramente tutto questo inverno, che non è ancora entrato nel vivo».

Il successo dell'Oriente

La strategia della convivenza con il virus è stata una disfatta generale in un primo momento in molti paesi. Invece Cina, Vietnam, Taiwan, hanno capito subito che non sarebbe stato praticabile convivere con il virus. Si sono posti l’obiettivo ambizioso di eliminarlo completamente. Quanto accaduto in Vietnam resta quasi inspiegabile, visto a qui. Il Paese ha molti interscambi con l’epicentro della pandemia, la Cina. Può aver contribuito al contenimento del contagio la tecnica del pool testing. In estate dopo la scoperta di un focolaio a Da Nang, 1,3 milioni di abitanti, il governo ha dichiarato un lockdown di due settimane nella città, accompagnandolo a test di massa sulla popolazione con un metodo di campionamento: il pool testing permette di analizzare i tamponi a gruppi, ad esempio di cinque, per risparmiare sui reagenti e velocizzare i tempi: se il gruppo è negativo si passa al successivo; se è positivo, si analizzano singolarmente i tamponi. Un successo statistico. In Vietnam sono morte appena 35 persone di Covid-19. 

Nei paesi dell'estremo oriente hanno inciso anche la chiusura tempestiva dei confini e la stretta regolamentazione dei viaggi. Non è mai saltato il tracciamento rigoroso dei contatti, e poi quarantene mirate e utilizzo diffuso della mascherina, che in questa regione è tradizione da decenni, complici anche precedenti epidemie come Sars e Aviaria. I tassi di mortalità da Covid-19, riportano gli esperti, «non sono uguali tra i diversi Paesi e vanno da meno di un decesso per milione di abitanti registrato a Taiwan, Vietnam e Thailandia fino a 1.112 morti per milione in Belgio». La differenza nella mortalità media per  milione è «notevole tra i Paesi asiatici ed europei (2,7 contro 197 decessi per milione di abitanti)». Certo è  che più tardi un determinato Paese è stato colpito dall'epidemia, più lieve è stato l'impatto sulla mortalità durante i primi 50 giorni, quelli più duri.

Attribuire la differenza al numero di test eseguiti «non è realistico, poiché la maggior parte dei Paesi la percentuale di popolazione testata è simile (tra il 10% e il 25%)».  Questa pandemia, osservano gli esperti, «ha colpito profondamente la società moderna e l'economia, poiché è stato necessario individuare modi alternativi di lavorare, viaggiare e comunicare». E ci sono degli aspetti che vanno compresi più a fondo, sono convinti gli autori dello studio.

La diffusione del virus nel mondo

Il virus si è rapidamente diffuso dal mondo orientale all'Europa e all'America. I ricercatori spiegano che si è tentato di esaminare «i motivi per cui l'Asia ha avuto performance migliori del resto del mondo nella gestione di Covid-19». In primo luogo, osservano che «la popolazione asiatica è più giovane rispetto a quella europea e nordamericana. L'età media della popolazione in Asia è di 31 anni, rispetto ai 42 anni in Europa e ai 35 in Nord America. In Italia, particolarmente colpita in modo precoce e gravemente, è di 45,5 anni, una delle più alte al mondo». Questo può parzialmente offrire una prima spiegazione.

Inoltre ipotizzano ancora gli esperti, «l'elevata prevalenza di fumatori attivi tra la popolazione maschile in Asia potrebbe aver giocato un ruolo. Infatti, è stata precedentemente segnalata una controintuitiva correlazione negativa tra il fumo attivo e una progressione verso un quadro clinico Covid più grave. Sebbene i meccanismi alla base di questo fenomeno debbano ancora essere pienamente compresi». Ma è un terreno scivoloso, scivolissimo. Ipotesi, per ora non confermate e inspiegabili. Anche uno studio francese mesi fa suggeriva che i fumatori avessero una probabilità molto più bassa di sviluppare un'infezione sintomatica o grave rispetto alla popolazione generale. Non c'è però alcun effetto protettore del fumo di tabacco, che contiene molti agenti tossici Solo la nicotina o altri modulatori del recettore della nicotina potrebbero avere un effetto protettivo, non dimostrato tra l'alto al momento. Il fumo infatti è un fattore aggravante per patologie cardiovascolari, respiratorie e tumori.

I dati sui decessi in Italia non sono sovrastimati

I dati sui decessi in Italia non sono sovrastimati. È bene ribadirlo, l'Iss lo ha spiegato chiaramente; è probabile anzi che siano stati sottostimati nei mesi di marzo e aprile. In quel periodo molti pazienti sono deceduti senza essere testati e perciò le loro informazioni non sono state inserite nel Sistema di Sorveglianza. La stima fatta nel rapporto congiunto ISS-Istat sull’eccesso di mortalità è che nei mesi di marzo e aprile i decessi legati in maniera diretta o indiretta al Covid-19 siano circa il doppio rispetto a quelli misurati nel Sistema di Sorveglianza. Questa sottostima dei decessi si è comunque molta ridotta e quasi azzerata da maggio fino a fine estate.  Nei mesi più recenti i Sistemi di Sorveglianza stanno osservando un nuovo aumento dei decessi. A breve sarà possibile valutare un eventuale eccesso di mortalità nei mesi autunnali/invernali tramite il confronto con i dati di mortalità Istat.

Qual è l’eccesso di mortalità rispetto agli anni scorsi in Italia e negli altri Paesi Europei? Un rapporto dell’OCSE ha analizzato l’eccesso di mortalità (vale a dire l’aumento del numero dei decessi rispetto agli anni precedenti) in alcuni Paesi Europei in un periodo di 10 settimane da Marzo in poi. Questo rapporto ha mostrato che il numero totale di decessi registrati in Spagna ha registrato un aumento del 61% rispetto al numero di decessi registrati in media nello stesso periodo nei 5 anni precedenti. Il Regno Unito ha registrato il 56% di morti in più rispetto agli anni precedenti. Italia e Belgio hanno registrato aumenti del 40%. Germania, Danimarca e Norvegia hanno riportato circa il 5% di decessi aggiuntivi in ​​un periodo di 10 settimane. L’OCSE sottolinea tuttavia che questi dati vanno interpretati con cautela perché la prima fase dell’epidemia è variabile da Paese a Paese e pertanto un periodo di osservazione più lungo sia necessario per interpretare i dati.

Come mai la letalità per il coronavirus in Italia è così alta?

Secondo Graziano Onder, geriatra del Gemelli e responsabile del rapporto sulla mortalità da coronavirus dell’Iss, in Italia si vive a lungo, ma molti anziani hanno patologie di vario tipo che peggiorano la prognosi in caso di contagio dal virus Sars-CoV-2.  «Nel nostro Paese però il 90% dei morti sono per e non con Covid. Persone anziane e con più patologie uccise comunque dal virus. Occorre essere consapevoli della tragedia attuale per responsabilizzarci e osservare le regole». C'è una questione di classificazione dei decessi, che non può non essere citata: «Da noi - dice il medico - tutti coloro che muoiono e risultano positivi al tampone vengono classificati come decessi per Covid, non è così in altri Paesi. E poi l'Italia ha la popolazione più anziana d’Europa. La colpa non è del servizio sanitario nazionale, che è tutto fuorché inferiore ad altri».

Resta però ad esempio difficile capire come mai in Germania si muoia molto meno di Covid rispetto all'Italia. Non basta la classificazione differente (ipotizzata) dei decessi. Lo stato di salute della popolazione e il modello sanitario non presentano così tante differenze. «L’età media delle vittime del Covid è superiore a 80 anni ed è vero che in Italia si vive più a lungo ma con meno anni trascorsi in buona salute. Per questo - spiega Onder - dico che dobbiamo fare tesoro di questa tragica esperienza ricalibrando il nostro sistema di assistenza agli anziani, coinvolgendo maggiormente la medicina del territorio».

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