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Salute

Covid, anticorpi resistenti per chi lo ha avuto: lo studio in 5 comuni trentini

L'indagine condotta in Trentino a settembre ha portato alla luce importanti informazioni su questo virus ancora troppo sconosciuto

Coloro che si sono ammalati di Covid potrebbero aver sviluppato anticorpi che permettono loro di non infettarsi una seconda volta, a dirlo è un'indagine condotta in Trentino e di concerto tra Apss(Azienda provinciale dei servizi sanitari), Iss (Istituto superiore di sanità) e Provincia. È su questo che si è incentrato il punto di confronto sul risultato dell'indagine aperta alla fine dell'estate a Borgo Chiese, Campitello di Fassa, Canazei, Pieve di Bono-Prezzo e Vermiglio, i 5 Comuni in cui ci fu un'impennate di casi positivi al Covid-19, lunedì 16 novembre. All'incontro hanno partecipato il presidente della provincia Maurizio Fugatti, il direttore generale della Prevenzione al Ministero della Salute Giovanni Rezza e il direttore del Dipartimento di prevenzione Antonio Ferro.

«Oggi portiamo i risultati di quell'importante azione che avevamo fatto nel corso della prima ondata Covid su quei Comuni trentini che avevano avuto una forte presenza di contagi - ha spiegato il presidente della Provincia -. Quello fu un momento importante, credo, sotto l'aspetto della gestione della crisi epidemiologica, ma anche del rapporto fra istituzioni all'interno di uno scenario che non si conosceva». 

A illustrare brevemente l'indagine, spiegando come venne organizzata e cosa abbia portato il Trentino ad aprirla, è stato Ferro. 

«È stato un progetto di sanità pubblica vera - ha affermato Ferro -, nel senso che al di là delle indicazioni scientifche importantissime, il primo obiettivo era quello di conoscere la situazione anticorpale di diffusione del virus per poter dare indicazioni alla popolazione di distanziamento e isolamento, per interrompere questa catena di trasmissione. Ricordo che nalla prima fase il problema era ai confini della provincia, quindi era importantissimo isolare all'interno di questi cinque comuni la popolazione, quindi oltre ad aver fatto un sierologico che ci dava un quadro statico, abbiamo fatto una proposta di tampone per evidenziare chi avesse ancora la malattia in atto».

Alla proposta hanno risposto circa 1000 persone sulle 1400 alle quali è stato chiesto di partecipare. Il tema sulla persistenza degli anti-corpi tra i soggetti che hanno superato la malattia è un altro punto di questo studio. La domanda è se questi anticorpi si mantengano nel tempo e abbiano una funzione protettiva. 

«È un'indagine molto importante - ha affermato Rezza -, sia la prima fase sia la seconda sono state rilevanti. È stato possibile fare uno studio di prevalenza che ha dimostrato un livello di infezione passata piuttosto elevata, intorno ai livelli del 20%. Quello che è importante è che, potendo stimare anche il denominatore delle persone infette per definire anche quello che è il tasso di letalità vero dell'infezione, che si aggira al 2% per quanto è stato stimato da questo studio. Quello che dopo è stato importantissimo che potrà avere grandi risultanze, è la persistenza degli anticorpi».

Lo studio a livello dell'Iss è stato coordinato dalla dottoressa Paola Stefanelli che ha eseguito l'indagine andando a cercare diversi tipi di anticorpi.

«Mentre gli anticorpi contro una proteina del capside virale sembrava in qualche misura perdersi - ha spiegato Rezza -, dopo 4 mesi, in una proporzione abbastanza ampia di persone, altri anticorpi, quelli diretti contro la parte esterna, restavano nella stragrande maggioranza reversibili». Un risultato, quello dell'analisi, ottenuto anche grazie all'organizzazione messa in piede dall'Apss.

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