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Ghiacciai e montagne sempre più vulnerabili. Il report di Legambiente

La fusione aumenta anche il rischio di frane, come quelle di quest'anno sul Sass Maor

Alpi sempre più fragili, vulnerabili e instabili a causa della crisi climatica e del riscaldamento globale. Due gli indicatori che testimoniano quanto ormai sta accadendo ad alta quota: l’aumento ad un ritmo sempre più accelerato della fusione dei ghiacciai che stanno perdendo superficie e spessore, frammentandosi e disgregandosi in corpi glaciali più piccoli. E l’aumento di frane, valanghe di roccia e di ghiaccio e colate detritiche da aree deglaciate dovuto principalmente dalla riduzione dell’estensione e della durata del manto nevoso, dalla riduzione dell’area e dello spessore dei ghiacciai e nella degradazione del permafrost. È quanto denunciano Legambiente e il Comitato Glaciologico Italiano (Cgi) nel report finale della Carovana dei ghiacciai.

Tra il 1850 e il 1975 i ghiacciai delle Alpi europee hanno perso circa la metà del loro volume. Il 25% della restante quantità si è perso tra il 1975 e il 2000 e il 10-15% nei primi 5 anni del nostro secolo. Preoccupa la situazione delle Alpi italiane dove in tutti e i settori – quello occidentale, orientale e centrale – si registra un marcato regresso dei settori frontali dei ghiacciai. Sulle Alpi orientali il massimo ritiro frontale (83,5 m) si è registrato nel Ghiacciaio di Saldura Meridionale, su quelle centrali si segnala il Ghiacciaio dei Forni la cui fronte è arretrata di oltre 48 metri.

Preoccupa anche l’aumento di frane. Secondo il catasto on line del gruppo di ricerca GeoClimAlp del Cnr-Irpi, nel periodo 2000-2020 nelle Alpi italiane ad una quota superiore ai 1500 metri, si sono registrati 508 processi di instabilità naturale (frane, colate detritiche ed eventi di instabilità glaciale). I dati raccolti evidenziano una concentrazione di eventi in alcune regioni: Valle d’Aosta (42%), Piemonte (18%), Lombardia (16%) e Trentino (15%). Tra gli ultimi episodi, nel 2019 la parete nordest del Monviso è stata interessata da un importante crollo in roccia. Per la sua naturale conformazione, anche l’area dolomitica è particolarmente soggetta a fenomeni di instabilità. Tra i tanti registrati, le scariche di detriti nell’area dolomitica del Sorapiss, le frane alla base del Civetta in provincia di Belluno. In Veneto una frana ha cancellato il Corno, una delle torri calcaree della catena del Fumante, rendendo quasi irriconoscibile uno dei paesaggi alpini più amati e frequentati dagli alpinisti.

In provincia di Trento, dal Sass Maor si è staccato un pezzo di parete generando un imponente accumulo. Nel settembre 2020 un fenomeno analogo aveva interessato la parete ovest di Cima Canali, sulle pale di San Martino, mentre qualche mese prima la stessa sorte era toccata alle Torri del Cimerlo. Un quadro nel complesso preoccupante che per Legambiente indica l’urgenza di intervenire definendo al più presto approfonditi piani di gestione e di adattamento al clima e approfondendo le ricerche sulle variazioni dei ghiacciai e del permafrost e le conseguenze economiche della crisi climatica. 

"Le Alpi, e più in generale gli habitat di montagna, – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – subiscono molto prima e maggiormente rispetto ad altri luoghi, gli effetti della crisi climatica, diventando un ambiente sempre più esposto alle sue conseguenze e più fragile. Per questo è fondamentale che si definiscano al più presto adeguate strategie e piani di adattamento al clima su scala regionale e locale, perché non si può perdere più altro tempo. Nel nostro Paese, particolarmente vulnerabile ai fenomeni di instabilità naturale, l’accelerazione del cambiamento climatico rende necessarie ulteriori misure di protezione e adattamento, precedute da moderne tecnologie di osservazione, per anticipare, monitorare e affrontare la sfida della tutela di ecosistemi complessi e altamente interconnessi, in condizioni di crescente squilibrio".

"La riduzione dei ghiacciai – aggiunge Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente – insieme alla degradazione del permafrost e all’aumento della frequenza delle frane descrivono una crisi già in atto. Si tratta di fenomeni studiati e conosciuti per i quali oggi siamo in possesso di una solida base di dati. Al contempo non mancano le proposte di policy di adattamento di cui siamo promotori su diversi tavoli nazionali. La Strategia Nazionale delle Aree Interne, ad esempio, anche attraverso i fondi europei in arrivo, potrebbe costituire un’occasione imperdibile per costruire soluzioni comuni a problemi ricorrenti, favorendo al contempo paradigmi condivisi".

Nello specifico, sulle Alpi centrali i ghiacciai monitorati dal Cgi (da ovest verso est Badile Disgrazia, Bernina, Ortles Cevedale e Adamello, sul quale quest’anno si sono concentrate le attività della Carovana dei Ghiacciai) sono in ritiro e oltre la metà ha subito un arretramento della fronte di oltre 10 metri in un anno. Il dato numericamente più eclatante è quello relativo al Ghiacciaio dei Forni, in alta Valfurva, la cui fronte è arretrata di oltre 48 metri. Questo ghiacciaio, che appartiene al settore lombardo del gruppo Ortles Cevedale, rappresenta il secondo ghiacciaio italiano in termini di estensione areale e il più esteso fra quelli vallivi. Il trend di forte ritiro frontale di questo ghiacciaio prosegue dal 2012 (oltre 300 metri) e supera i 2 chilometri di arretramento dall’inizio del monitoraggio (1895).

Oltre ai ritiri frontali, i ghiacciai hanno subito una forte riduzione areale ed un assottigliamento del loro spessore. Preoccupano anche i dati relativi al Ghiacciaio dell’Adamello che ha subito una forte contrazione areale ma anche un marcato ritiro della sua fronte, che ha registrato valori di ritiro oltre i 2000 m negli ultimi 160 anni.

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