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La questione

Dieci anni di residenza per avere il Rdc, Bruxelles contro l'Italia: cosa succede in Trentino

I sindacati esortano la Giunta a eliminare il vincolo discriminatorio dei dieci anni di residenza. Dopo la procedura d’infrazione per l’Italia Cgil Cisl Uil e Acli insistono: "discriminare tra cittadini di serie A e di serie B contrasta i principi del Family Audit"

"C’è un’altra voce pesante che si unisce al coro di quanti fino a oggi hanno sostenuto che il vincolo dei dieci anni di residenza in Italia per accedere alle misure di sostegno è discriminatorio: la Commissione europea" affermano i sindacati.  Nella giornata di mercoledì 15 febbraio Bruxelles ha comunicato di aver aperto una procedura di infrazione contro l’Italia sul requisito dei dieci anni per il reddito di cittadinanza.

Si tratta di una presa di posizione che tocca da vicino anche il Trentino, basti pensare alle proteste del recente passato in merito a criteri d'accesso al bonus bebè. E non solo. "La Giunta Fugatti - sottolineano i sindacati - ha imposto questo vincolo a molte misure di welfare provinciale, come l’assegno unico quota A, l’accesso all’edilizia sociale e il bonus bebè, andandosi a schiantare ripetutamente contro i giudici e la Corte costituzionale".

Quanto sostenuto dalla Commissione europea va dunque a rinforzare quanto professato da tempo dai sindacati. "La presa di posizione europea - osservano i segretari provinciali di Cgil Cisl Uil, Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti con il presidente delle Acli, Luca Oliver - conferma quanto sosteniamo da tempo: vincoli così estesi sono una forma di discriminazione, che diventa particolarmente odiosa quando prende di mira anche i bambini più piccoli, quelli nati in Trentino, da genitori stranieri. Questo Esecutivo in modo ostinato ha perseverato su una strada palesemente ingiusta e illegittima e fino ad oggi ha fatto qualche operazione di maquillage modificando i regolamenti, ma non la legge”.

E ancora: "Il Trentino e la Provincia Autonoma si vanta della certificazione del Family Audit, addirittura esporta questo modello nel resto d’Italia e poi a casa propria adotta meccanismi discriminatori nei confronti delle famiglie, quantomeno per quelle 'non trentine'. O la Provincia adotta comportamenti coerenti agli standard del Family Audit o a nostro parere perde non solo ogni autorevolezza nel promuovere l'inclusione familiare ma anche il diritto di fregiarsi del marchio", insistono. Dunque la richiesta al presidente Fugatti di fare marcia indietro, modificando le norme che prevedono ancora i dieci anni di residenza per accedere ai benefici del welfare provinciale.

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