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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Salario minimo, perché Villotti (Confesercenti Trentino) è contrario?

Secondo il presidente il rischio è quello di un "paradossale peggioramento delle condizioni generali dei lavoratori trentini, se non addirittura un aumento dei disoccupati"

Diverse le perplessità sul tema del salario minimo per legge e le proposte legislative avanzate da Confesercenti del Trentino. "Come testimonia la storia stessa delle relazioni sindacali in Italia dagli anni 60 ad oggi - sottolinea l'associazione -, la contrattazione collettiva nella sua evoluzione è stata in grado di garantire a imprenditori, imprese e lavoratori trattamenti economici adeguati e in linea con le situazioni economiche di mercato dei singoli settori, nonché coerenti con le qualifiche dei singoli lavoratori e l’andamento della produttività dei diversi comparti". Secondo una valutazione di Confesercenti, infatti, un intervento per legge nell'ambito, rischierebbe di alterare equilibri economici e negoziali faticosamente conquistati dalle parti sociali negli ultimi decenni. 

"Se il valore minimo fissato dal legislatore fosse più basso di quello stabilito dai contratti collettivi - osserva Confesercenti -, il rischio sarebbe di una disapplicazione degli stessi, poiché per le imprese il salario negoziale sarebbe considerato come un mero ed incomprensibile costo ulteriore; se al contrario, il valore minimo fosse più alto, l’ingerenza legislativa determinerebbe uno squilibrio nella rinegoziazione degli aumenti. Conseguenze?  Il paradossale rischio di un peggioramento delle condizioni generali dei lavoratori trentini, se non addirittura un aumento dei disoccupati".  

Sulla questione del lavoro stabile e della disoccupazione, l'associazione ricorda che: "I dati legati al lavoro temporaneo in Trentino hanno raggiunto numeri e livelli da record anche nel nostro territorio. Certamente per la provincia di Trento pesano e incidono sulle statistiche i settori economici del turismo e dell’agricoltura influenzati dalla loro base strutturale di natura stagionale. Ma questa considerazione non cambia la natura e la sostanza del problema".

Confesercenti spinge a riflettere circa il rischio che si correrebbe inasprendo per imprese e imprenditori, con un provvedimento calato dall’alto, le regole e le condizioni legate al salario per i lavoratori non si ottenga esattamente il risultato opposto rispetto a quanto ambito. Ovvero che non si destabilizzino gli equilibri raggiunti, rendendo ancora più precario il lavoro.

"Come Confesercenti - continua l'associazione - siamo contrari perché la condizione italiana è differente da altri paesi in Europa. La determinazione per legge di un salario orario minimo, come di recente è avvenuto in Germania, tipica di Paesi storicamente caratterizzati da un sistema di contrattazione collettiva 'debole' ovvero decentrata a livello aziendale o locale, non in grado di definire una previsione salariale minima omogenea per tutto il territorio. La situazione nel nostro paese è differente poiché vi è una importante diffusione della contrattazione collettiva nazionale che negozia anche la retribuzione del lavoro subordinato coprendo ampiamente i settori produttivi, nonché un secondo livello di contrattazione (aziendale o territoriale) che regolamenta il salario di produttività".  

La discussione sul salario minimo pone come criterio economico "paracadute" un importo di 9 euro al lordo per ora/lavoro. Questo, se comparato alle tabelle Ccnl Tds Confesercenti, significa avere un incremento di minimo tabellare di almeno 1.5 euro per ora/lavoro, mentre per il Ccnl Turismo l’aumento sarebbe di 2 euro per ora/lavoro. Diverso il concetto di minimo tabellare da quello del costo complessivo del contratto. In questo senso il Ccnl Tds Confesercenti ha un trattamento economico complessivo orario pari a 18.73 euro; il Ccnl Turismo ha un trattamento economico complessivo orario pari a 17.58 euro (tabelle ministeriali). Di conseguenza in termini esemplificativi il datore di lavoro potrebbe, in caso di ispezione o di contenzioso, dimostrare facilmente che, pur non applicando il Ccnl Tds Confesercenti, ma limitandosi ad applicare la legge (9 euro lordi), è in linea con quanto il sistema richiede.  

"Questo - sottolinea ancora l'associazione - rappresenterebbe la distruzione di tutto il 'sistema di welfare contrattuale' (Enti bilaterali Fondi assistenza sanitaria) con evidente danno per i lavoratori.  Si pensi, ad esempio, alle previsioni dei ccnl sulle prestazioni bilaterali, che determinano vantaggi economici per i dipendenti ben superiori alla sola quota di contribuzione (come per esempio per il lavoratore al quale viene integralmente rimborsato o anticipato il costo di un intervento chirurgico del valore di 20.000 euro). L’introduzione del salario minimo legale rischierebbe di colpire negativamente il welfare contrattuale".  

Le proposte di Confesercenti

L'associazione non si è limitata ad analizzare dettagliatamente la questione, ma ha anche delle proposte perché la situazione possa funzionare realmente. "Prima di procedere con le ipotesi di introduzione di un salario minimo ex lege - scrivono -, proponiamo di creare le condizioni per favorire l’applicazione delle norme che già oggi privilegiano l’applicazione dei contratti collettivi, estendendo il riferimento alla retribuzione da essi definita da parametro obbligatorio per il versamento dei contributi previdenziali a parametro obbligatorio per il riconoscimento di retribuzioni minime. Questa soluzione rafforzerebbe la funzione dei contratti collettivi mentre la fissazione per legge di un salario ne sminuirebbe del tutto la funzione salariale. Quindi favoriamo l’adozione e applicazione dei contratti collettivi e piuttosto vigiliamo con maggior rigore sul loro rispetto". 

C'è poi la questione di quelle situazioni che favoriscano il dumping contrattuale, ovvero quella pratica di "offerta al ribasso" che, alla fine, va a danneggiare il lavoratore. "Riteniamo - afferma Confesercenti - che si debba intensificare il contrasto ai contratti pirata sottoscritti da Organizzazioni prive di rappresentatività e non presenti nel Cnel, che generano dumping contrattuale e determinano l’applicazione di salari non congrui rispetto a quelli dei contratti collettivi stipulati dalle Organizzazioni realmente rappresentative a livello nazionale (e territoriale)". 

L’obiettivo comune a cui tendere, secondo l'associazione, deve essere prima di tutto quello di ridurre il costo del lavoro. "Si preveda per chi applica i contratti sottoscritti dalle organizzazioni considerate comparativamente maggiormente rappresentative, la possibilità di sgravarne il peso fiscale e contributivo per i rinnovi contrattuali - conclude Confesercenti -. Infine per quanto concerne gli accordi definiti in sede Europea non sussiste alcun obbligo di recepimento da parte dell’Italia. E quindi è eventualmente una scelta, a nostro avviso evidentemente sbagliata".  

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