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Economia

Pensioni, crolla Quota 100: le tre opzioni per lasciare il lavoro dal 1º gennaio 2022

Il tempo stringe, le adesioni a Quota 100, che scade il 31 dicembre, crollano. Analizzate dall'Inps la proposta di consentire il pensionamento anticipato con 41 anni di contribuzione, a prescindere dall'età, l'opzione al calcolo contributivo con 64 anni di età e 36 di contributi e un'opzione di anticipo della sola quota contributiva della pensione

L'ultimo rapporto annuale Inps è stato presentato a luglio e indica che i pensionati italiani, al 31 dicembre 2020, sono pari a circa 16 milioni, di cui 7,7 uomini e 8,3 donne. L'Italia cerca di affrontare con "fiducia" e "ottimismo" l'uscita da un "periodo drammatico", le cui difficoltà hanno lasciato "evidenti tracce sul presente e sulle prospettive dei prossimi anni", ha detto il presidente Pasquale Tridico. Oggi i segnali di ripresa sono "incoraggianti" e "robusti" e "sta a noi trasformarli in elementi strutturali di crescita e di vero rilancio, in particolare attraverso politiche inclusive e sostenibili". A breve inizierà la fase calda del confronto tra governo e parti sociali.

Il crollo di Quota 100

Le adesioni a Quota 100 crollano. Come ricorda Today, nel 2019 hanno usufruito del pensionamento anticipato 148mila individui (112mila uomini e 36mila donne) mentre nel 2020 solo 105mila (68mila uomini e 37mila donne). Il tasso di adesione tra gli idonei è passato dal 40% del 2019 al 22% del 2020. Rispetto agli impatti occupazionali di Quota 100, l'analisi condotta su dati di impresa non mostra evidenza chiara di uno stimolo alle maggiori assunzioni da parte dell'anticipo pensionistico. 

In totale Quota 100 ha permesso il pensionamento anticipato di 180mila uomini e 73mila donne nel biennio 2019-20, mentre Opzione Donna ha portato circa 35mila pensionamenti nello stesso periodo. Dall'analisi di Quota 100 emerge che la misura è stata utilizzata prevalentemente da uomini, da soggetti con redditi medio-alti e relativamente con maggior frequenza da dipendenti pubblici. 

Dall'analisi di un campione di donne con i requisiti per l'adesione a Opzione Donna emerge invece che, a differenza di quanto descritto per Quota 100, hanno scelto questa opzione prevalentemente soggetti con redditi bassi, a volte silenti, ovvero senza versamenti contributivi nell'anno antecedente al pensionamento. Anche limitandosi al solo settore privato, il reddito basso si conferma essere la determinante più significativa per questa scelta.

Le tre opzioni studiate dall'Inps

Considerato che Quota 100 ha natura sperimentale e vi possono aderire solo i lavoratori che maturano i requisiti nel triennio 2019-2021, il dibattito pubblico si è concentrato su alcune proposte di revisione del sistema pensionistico. L'Inps ne ha analizzate tre dal punto di vista degli effetti economici sulla spesa pensionistica nel breve e lungo periodo. Nello specifico, si sono analizzate la proposta di consentire il pensionamento anticipato con 41 anni di contribuzione, a prescindere dall'età, l'opzione al calcolo contributivo con 64 anni di età e 36 di contributi e un'opzione di anticipo della sola quota contributiva della pensione.

Dall'analisi emerge che la prima proposta è la più costosa e arriva ad impegnare fino allo 0,4% del prodotto interno lordo. La seconda, più equa in termini intergenerazionali, produce risparmi già poco prima del 2035 per effetto della minor quota di pensione dovuta all'anticipo ma soprattutto ai risparmi generati dal calcolo contributivo. Nell'ultima proposta analizzata si garantisce flessibilità solo per la componente contributiva dell'assegno pensionistico con costi molto più bassi per il sistema. Nel lungo periodo tutte e tre le proposte portano a una riduzione della spesa pensionistica rispetto alla normativa vigente.

"Rispetto agli impatti occupazionali attraverso la sostituzione dei pensionati in quota 100 con lavoratori giovani, un`analisi condotta su dati di impresa non mostra evidenza chiara di uno stimolo a maggiori assunzioni derivante dall'anticipo pensionistico" ha sottolineato il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, illustrando il rapporto annuale.

Il dibattito sulle pensioni "rimane eccessivamente concentrato sulla flessibilità e possibilità di anticipo di uscita dal mercato del lavoro. Penso che dovremmo concentrarci sulle prospettive che riguardano, in particolare, gli assegni delle nuove generazioni". Così il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, intervenendo alla presentazione del rapporto annuale dell'Inps.

I sindacati

"La relazione del presidente dell'Inps a nostro avviso conferma quanto sia urgente aprire un tavolo di confronto fra Governo e sindacati sulle pensioni e quanto sia grave non averlo ancora fatto. Non sembra vi sia nell'esecutivo la consapevolezza che se non arrivassero risposte concrete su un tema così sensibile, sarà inevitabile una incisiva mobilitazione dei lavoratori". E' quanto dichiara il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli. "I temi evidenziati - prosegue il dirigente sindacale - sono rilevanti, come la flessibilità in uscita, il riconoscimento dei lavori gravosi, la solidarietà intergenerazionale, il fatto che la spesa pensionistica italiana netta è inferiore a quella dichiarata a livello comunitario. E - aggiunge - anche gli effetti della pandemia sulla speranza di vita e sulla spesa previdenziale vanno adeguatamente considerati".

Nel merito, per Ghiselli "le ipotesi di riforma analizzate dall'Istituto sono molto distanti dalla piattaforma sindacale. Per noi - spiega - sarebbe inaccettabile un`uscita a 64 anni con 36 anni di contributi e con il ricalcolo contributivo, o la liquidazione a 62 anni della sola pensione maturata nel regime contributivo. Ma - conclude - sugli interventi da adottare sulle pensioni, anche in vista della scadenza di quota 100, vorremmo sapere cosa pensa il Governo".

Pensioni: certezze e ipotesi per l'anno prossimo

L'unica certezza per ora è relativa a una data: il 31 dicembre "scade" Quota 100, che consente di anticipare la pensione a 62 anni di età con 38 di contributi fino al 31 dicembre 2021, dal primo gennaio si tornerebbe alle regole di prima e quindi allo "scalone" di cinque anni di età. Di colpo il pensionamento sarebbe accessibile solo a partire dai 67 anni di età. Lo scalone è un problema vero, da affrontare quanto prima. Facciamo un esempio lampante. Alla fine del 2021, senza un’eventuale armonizzazione, per gli esclusi ci sarà un aumento secco di cinque o sei anni dei requisiti di pensionamento.

L'esempio classico è il seguente: Ivano e Giuseppe hanno lavorato 38 anni nella stessa azienda solo che il primo è nato nel dicembre del 1959 e il secondo nel gennaio del 1960. Ivano andrà in pensione (se lo vorrà) a 62 anni, mentre Giuseppe dovrà optare tra un pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi nel 2026 o il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e nove mesi, addirittura nel 2029. Insomma così non va, è evidente. Uno scalone del genere andrebbe persino oltre quello della vecchia riforma Maroni (legge 243/2004), quando fu introdotta una differenza di tre anni lavorativi tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008. All'epoca per evitare che a circa 130mila lavoratori venisse impedito di andare in pensione subito si fece la riforma Damiano, con un aumento della spesa pensionistica spaventosa, circa 65 miliardi, nel decennio dopo. Ora si deve trovare la quadra: un tavolo di confronto serio e a oltranza fra Governo e sindacati sulle pensioni non può più attendere.

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