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Economia

La mano del governo Draghi sulle pensioni: cosa succederà

Quota 100 potrebbe essere sostituita da quella che gli addetti ai lavori definiscono Quota 102, ma sul tavolo ci sono anche Quota 41, Quota 92 e la proroga di altre misure attualmente in vigore. L'unica certezza è che il ritorno secco alla sola legge Fornero comporterebbe uno scalone di ben 5 anni

Sulle pensioni si discuterà molto, sarà il grande tema del'autunno, insieme a quelli più drammatici delle tante crisi aziendali all'orizzonte e dell'impatto della fine del blocco dei licenziamernti sul mondo del lavoro. Ci sono molti punti di domanda, ma anche ragionevoli certezze. La prima è che Quota 100 va a grandi passi verso lo stop alla fine del 2021. Mentre il governo Draghi, con l'ultima bozza del Recovery Plan, sembra ormai deciso ad accantonare in tutto e per tutto la riforma varata dal primo governo Conte, prende quota in queste ore l’ipotesi che la misura possa essere sostituita da quella che gli addetti ai lavori definiscono Quota 102. 

Lo scenario

Come per Quota 100, è richiesto il raggiungimento della quota con paletti fissati per età e contributi: 38 anni di contributi ed almeno 64 anni di età. La platea dei destinatari, quindi, rispetto alla riforma voluta dai gialloverdi si restringerebbe, con un anticipo di soli 3 anni al posto dei 5 consentiti dalla quota 100. Fonti del Mef confermano che è un 'plan B' su cui si sta ragionando, assieme alla possibilità di prevedere degli sconti contributivi per le categorie più svantaggiate.

Cosa succederà dopo?

La decisione di non prorogare la forma di pensionamento anticipato introdotto nel 2019 sperimentalmente per 3 anni, voluto dalla Lega, era nell'aria ma la conferma è arrivata con la bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza elaborato dal Governo e arrivato a fine aprile sul tavolo del Consiglio dei ministri. «In tema di pensioni» si legge «la fase transitoria di applicazione della cosiddetta Quota 100 terminerà a fine anno e sarà sostituita da misure mirate a categorie con mansioni logoranti».

Attualmente la pensione di vecchiaia prevede il ritiro dal lavoro a 67 anni e un’anzianità contributiva minima di vent'anni, nonché, della pensione anticipata senza il vincolo dell’età anagrafica ma con solo il requisito contributivo da rispettare che porta a 42 anni e 10 mesi per i lavoratori e poco meno di un anno per le lavoratrici, ossia 41 anni e 10 mesi. Quota 100 consente di anticipare la pensione a 62 anni di età con 38 di contributi fino al 31 dicembre 2021, dal primo gennaio si tornerebbe alle regole di prima e quindi allo "scalone" di cinque anni di età. Di colpo il pensionamento sarebbe accessibile solo a partire dai 67 anni di età.

Il rischio scalone

Qualcosa bisognerà fare, perché altrimenti si andrebbe incontro a scenari molto complessi e poco comprensibili, spiega oggi Today. Ad esempio: dal 31 dicembre 2021, senza un’eventuale armonizzazione, per gli esclusi ci sarà un aumento secco di cinque o sei anni dei requisiti di pensionamento. Ecco un caso limite: Mario e Giovanni hanno lavorato 38 anni nella stessa azienda solo che il primo è nato nel dicembre del 1959 e il secondo nel gennaio del 1960. Mario andrà in pensione (se lo vorrà) a 62 anni, mentre Giovanni dovrà optare tra un pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi nel 2026 o il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e nove mesi, addirittura nel 2029.

Uno scalone che andrebbe oltre anche quello della vecchia riforma Maroni (legge 243/2004), quando fu introdotta una differenza di tre anni lavorativi tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008. All'epoca per evitare che a circa 130mila lavoratori venisse impedito di andare in pensione subito si fece la riforma Damiano, con un aumento della spesa pensionistica "monstre", di 65 miliardi, nel decennio seguente.

 E Quota 102?

Se dal 1° gennaio 2022 saranno mantenuti identici i requisiti per la pensione di vecchiaia con 67 anni di età adeguata alla aspettativa di vita e almeno 20 di contribuzione, l'ipotesi di Quota 102 per andare in pensione prima sarebbe fattibile con:

  • 64 anni di età anagrafica (indicizzata alla aspettativa di vita);
  • 38 anni di contributi di cui non più di 2 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari).

Rimarrebbe poi da stabilire con la massima chiarezza il taglio dell’assegno che verrebbe incassato fino alla naturale scadenza fissata a 67 anni. Seguendo la stessa logica, la pensione anticipata dovrebbe essere resa stabile con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per le donne), svincolata dalla aspettativa di vita e togliendo qualsiasi divieto di cumulo tra lavoro e pensione e prevedendo altresì agevolazioni per le donne madri (ad esempio 8 mesi ogni figlio fino a massimo 24 mesi), per i caregiver (un anno) e per i lavoratori precoci (maggiorando del 25% gli anni lavorati tra i 17 e i 19 anni di età).

Quota 92, Quota 41, Opzione Donna e Ape Sociale

Tra le altre ipotesi, non si può escludere poi una Quota 92 ma solo per i lavori usuranti, rilanciata da più parti. Nel dettaglio verrebbero abbassati di molto, in questo modo, gli anni di contribuzione tenendo conto delle difficoltà del mercato del lavoro e consentendo di uscire a 62 anni con 30 anni di contributi. Graziano Delrio (Pd), ex ministro, ha lanciato e spinto l'idea di Quota 92. "Per un'Italia più giusta. Allo scadere di Quota 100, introduciamo Quota 92 (30 anni di contributi e 62 d’età) che aiuti donne e lavoratori impegnati in lavori usuranti. Diamo maggiori garanzie ai giovani. Anche così si esce dalla crisi"

Scadono a fine 2021 anche Opzione donna con cui le lavoratrici possono uscire dal mondo del lavoro a 35 anni netti di contribuzione e 58 anni di età anagrafica, per le subordinate, 59 anni per le lavoratrici autonome e l’Ape sociale, sussidio erogato in attesa del raggiungimento dell’età pensionabile rivolto ai contribuenti di entrambi i sessi che hanno compiuto 63 anni e con 30-36 anni di contributi versati. Non si vede il motivo per cui non debbano essere entrambe rinnovate entrambe, visto l'impatto non così pesante cui conti pubblici.

I sindacati hanno provato a rilanciare l'ipotesi di Quota 41: e non sono i soli. Prevederebbe la possibilità di pensionamento una volta raggiunti i 41 anni di contributi, per tutti i tipi di lavori. L'obiettivo del governo è scongiurare una situazione critica allo scadere di Quota 100. Non è un caso che già nel primo giro di consultazioni che lo avevano poi portato a sciogliere la riserva il premier aveva indicato una tappa sicura nella rotta da seguire: il superamento di Quota 100, come aveva rivelato il capogruppo della Lega a Montecitorio, Riccardo Molinari.

Secondo quanto si legge in un passaggio della bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza la fase transitoria di applicazione della cosiddetta Quota 100 terminerà alla fine del 2021 e sarà sostituita da misure mirate a categorie con mansioni logoranti. I dettagli sono però tutti da definire.

Sembra davvero già tramontata l'ipotesi, ambiziosa, di collocare l’intervento sulla previdenza all’interno della costruzione di un nuovo Welfare emersa dal primo discorso alle Camere del premier Mario Draghi, che in uno dei passaggi chiave aveva voluto ricordare come l’avvento della pandemia abbia contribuito a ridurre sensibilmente la speranza di vita. Nei mesi scorsi era stata ventilatal’ipotesi di un intervento di sistema, con l’obiettivo di produrre un ”Testo unico” sulle pensioni che riguardi sia il primo pilastro, con l’introduzione anche di una pensione di garanzia per chi, nel contributivo puro, non potrà più contare su integrazioni al minimo, sia il secondo pilastro, con un adeguamento di tanti aspetti (a partire dai trattamenti fiscali) che non hanno finora consentito un vero decollo della previdenza complementare. Ma la sensazione è che non si farà nulla di ampio respiro, di "generazionale". Si troveranno soluzioni per scongiurare i rischi più immediati.

I sindacati propongono anche l'età flessibile

I sindacati propongono anche - per non tornare alla Legge Fornero tale e quale - l’età flessibile, ovvero estendere le regole applicate a chi ha un sistema interamente contributivo a chi ha un regime misto, ovvero con il retributivo fino al 1995 e poi con il contributivo. Obiettivo consentire di lasciare il lavoro a 64 anni in caso di pensione maturata almeno 2,8 volte superiore all’assegno sociale, circa 1.288 euro al mese. Il passo successivo sarebbe poi abbassare questa soglia a 62 anni, riducendo inoltre il limite di accesso a 1,5 volte la pensione sociale. Difficile, però, che il governo accolga questa richiesta. Più facile discutere su un assegno calcolato completamente con il contributivo e uscita a 64 anni. Dal 1° gennaio 2022 senza interventi legislativi si ritornerebbe a fare riferimento solamente a quanto stabilito dalla Legge Fornero nel 2011, senza più l’alternativa offerta da Quota 100.

L'Inps ha chiuso il 2020 con un decifit di 6 miliardi in più rispetto al 2019, migliore di quanto previsto ad ottobre quando l'istituo di previdenza nazionale stimava un "rosso" di quasi 10 miliardi (-15,7 miliardi). A causa anche del Covid però  le prestazioni sono aumentate di 30 miliardi circa rispetto al 2019. Il 2020 ha registrato un boom delle prestazioni, aumentate complessivamente dai 331 miliardi del 2019 ai 360 miliardi del 2020. Questo ha portato la spesa complessiva delle pensione a incidere sul 17% del Pil nazionale.

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