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Giovedì, 28 Marzo 2024
Economia

L'errore delle pensioni baby: quasi 400mila assegni pagati da oltre 40 anni

Le varie 'Quote', Ape social o lavori gravosi rischiano di compromettere l'equilibrio del sistema previdenziale: bisogna trovare il giusto rapporto tra vita lavorativa e durata del trattamento pensionistico

Nel ridisegnare il sistema previdenziale bisogna fare attenzione a non commettere nuovamente certi errori macroscopici del passato, come quello delle baby pensioni o dei prepensionamenti troppo generosi. A oggi ci sono ancora quasi 400mila assegni pagati dall’Inps da 41 anni o più, a persone uscite dal mondo del lavoro troppo presto. Si tratta di lavoratori che tra gli anni '70 e '90 hanno beneficiato di alcune deroghe concesse all’età legale di pensionamento, cittadini che hanno maturato il diritto all’assegno previdenziale anche con soli 14 anni 6 mesi e 1 giorno di contributi. Nel 2020 sono costati allo Stato 7 miliardi di euro, lo 0,4% del pil, come il reddito di cittadinanza (analisi Cgia Mestre).

In vista della riforma delle pensioni 2024, bisogna ricordare che certe anomalie appesantiscono il bilancio previdenziale e che ci deve essere sempre una certa correlazione tra contributi e prestazioni, per rendere sostenibile nel medio e lungo termine il sistema.

Il problema delle pensioni è più grave di quanto si temeva

Le baby pensioni: cosa è successo

Le baby pensioni, ovvero le pensioni erogate dallo Stato a lavoratori che hanno versato contributi previdenziali per pochi anni, furono introdotte in Italia dal governo Rumor nel 1973, con le prime erogazioni già a partire dal 1981. In tale occasione venne approvato un testo che consentiva ai dipendenti pubblici di lasciare il lavoro con un’età inferiore ai 40-50 anni, se in possesso di questi determinati requisiti:

  • 14 anni 6 mesi e 1 giorno di contributi per le donne sposate con figli;
  • 20 anni di contributi per gli statali;
  • 25 anni di contributi per i dipendenti degli enti locali.

Successivamente vari governi provarono, senza riuscirci, a innalzare l’età della pensione di vecchiaia, ma solo con la riforma Dini del 1995 finì l’era delle baby pensioni, a causa dell’esplosione del debito pubblico e dell’invecchiamento della popolazione italiana.

Qualche anno prima fece 'scandalo' la decisione della moglie di Bossi di andare in pensione (legittimamente) a soli 39 anni, era un’insegnante, proprio mentre il marito gridava nelle piazze slogan del tipo "Roma ladrona, la Lega non perdona". A darle questa opportunità è stata la legge, o meglio i governi, che per incompetenza o per questioni di voti hanno deciso negli anni di tenersi stretti una buona parte degli elettori con queste e altre regalie. Hanno fatto finta di non sapere che il sistema era insostenibile, procrastinando il problema a chi sarebbe venuto dopo. E così è stato: con la riforma Fornero si è arrivati a fissare l’età della pensione di vecchiaia a 67 anni, superando di molto la media europea che è di 64,4 anni per gli uomini e di 63,4 anni per le donne (Dati Uil).

Età media della pensione in Italia e in Europa (Dati Uil)
Età media della pensione in Italia e nel mondo (Dati Uil)

Purtroppo i 67 anni della riforma Fornero sembrano destinati ad aumentare poiché i requisiti anagrafici per l’accesso alla pensione, nel nostro Paese, sono ancorati all’aspettativa di vita e vengono costantemente aggiornati. E mentre Parigi scende in piazza per dire no alla pensione a 64 anni (invece di 62) noi ci ritroviamo a fare i conti con un sistema previdenziale in affanno per colpa della denatalità, caratterizzato da pochi lavoratori (e quindi pochi contributi) e da tantissimi pensionati. Il rapporto tra lavoratori e pensionati nel 2029 calerà dall'1,4 all'1,3 per arrivare al 2050 a uno a uno: ha avvertito il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico lanciando l'allarme sulla sostenibilità del sistema.

Quanti sono e chi sono i baby pensionati

L'esercito dei baby pensionati, ovvero di coloro che non timbrano il cartellino da almeno 40 anni, conta 399.686 ex lavoratori, con un'età in media di 87,8 anni (85,9 per quelli della pubblica amministrazione). Stanno incassando l'assegno previdenziale in media da 46,9 anni (45,4 anni se del settore pubblico). Secondo quanto emerso dal decimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale Itinerari Previdenziali, la maggior parte delle prestazioni pagate dal 1980 in poi viene erogata a lavoratori dipendenti o autonomi (artigiani, commercianti e agricoli): 353.779 prestazioni a fronte delle quasi 46mila fruite dai dipendenti pubblici. Nel privato l’81,6% sono donne e il 18,4% uomini mentre tra i dipendenti pubblici la percentuale delle donne si attesta al 69,4% e quella degli uomini al 30,6%. La cosa 'assurda', considerando i 67 anni fissati poi dalla riforma Fornero, è che stiamo parlando di persone ancora in vita che sono andate in pensione all’età di 40,9 anni nel settore privato (38,6 anni gli uomini e 41,4 le donne) e all’età di 40,5 anni nella pubblica amministrazione (38 gli uomini e 41,6 le donne).

Giusto per fare un confronto, le età medie dei lavoratori andati in pensione nel 2021 erano rispettivamente di 61,8 per l’anzianità, 67,4 per la vecchiaia, 60,8 per i prepensionamenti, 55,1 per le invalidità. Considerando che l'Italia è il quinto Paese al mondo per aspettativa di vita, con una media di 84,01 anni (81,90 per gli uomini e 85,97 per le donne, dati NiceRx), "siamo evidentemente ben oltre quel paletto dei 20/25 anni che dovrebbe rappresentare una buona mediazione tra periodo di lavoro e tempo di quiescenza", ha dichiarato Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali ricordando che sono in pagamento tra pubblici e privati 5.668.713 prestazioni IVS (Invalidità, Vecchiaia, Superstiti, ndr) che hanno già superato una durata di 20 anni e che queste pensioni sono pari a un terzo delle prestazioni vigenti. 

Aspettative di vita nel mondo (dati NiceRx)
Aspettative di vita nel mondo (dati NiceRx)

"Macché Fornero, donne in pensione in anticipo": l'offensiva dei sindacati

Sostenibilità del sistema previdenziale: a che punto siamo 

A dire la verità l’uso intensivo dei prepensionamenti in Italia è stato fatto sino al 2002, perché le uscite anticipate venivano usate "più come ammortizzatori sociali 'mascherati' che come autentiche misure di flessibilità". Visto che la spesa sostenuta per il welfare rappresenta oltre la metà dell’intera spesa pubblica, bisogna fare molta attenzione in futuro, perché con il passare del tempo registriamo un’età media tra le più elevate al mondo e facciamo sempre meno figli. Per il momento c’è un sostanziale equilibrio nel sistema previdenziale: dal 1989 le entrate contributive sono aumentate più o meno di pari passo con la spesa per pensioni.

Spesa per pensioni e contribuzioni
Spesa per pensioni e contribuzioni

"Le continue riduzioni delle età di pensionamento a favore ora di questa ora di quella categoria di lavoratori - le varie 'Quote', Ape sociale o lavori gravosi - rischiano però di compromettere il sistema", ha chiosato Brambilla. E a chi si lamenta perché l’età pensionabile è (in alcuni casi anche molto nettamente) più elevata che in passato, il professore risponde che "i motivi ci sono e sono essenzialmente due: viviamo di più, ed è una bella notizia, e dobbiamo rispettare il patto intergenerazionale per garantire la tenuta della previdenza italiana, con un occhio di riguardo per i giovani con i cui contributi vengono pagate pensioni e anticipazioni. Senza adeguamento alla speranza di vita, i rischi sono proprio quelli che emergono analizzando questa vasta schiera di prestazioni ancora in pagamento, seppur erogate molti anni fa: lavoratori mandati in quiescenza a età troppo giovani, baby pensioni come quelle del pubblico impiego, casi "limite" di prepensionamento, requisiti troppo permissivi per ottenere prestazioni di invalidità e inabilità. Un monito per i fautori delle troppe anticipazioni". 

Fonte: Today

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