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Il ricorso / Rovereto

Reddito di cittadinanza revocato, per il giudice di Rovereto ne ha diritto: la vicenda 

Ora Inps dovrà riconoscere alla lavoratrice una somma di dieci mila euro per l’annullamento dell’indebito e riattivare il reddito di cittadinanza

A Rovereto il giudice ha accolto il ricorso del Patronato Inca Cgil, condannando l'Inps all’annullamento dell’indebito nei confronti di una persona alla quale, a seguito dei consueti controlli dell'ente, si è vista revocare la misura di sostengo pur avendone diritto, come è stato dimostrato. La notizia è di gennaio ed è arrivata direttamente dai sindacati che hanno accompagnato questa persona nel ricorso.

La vicenda

La donna al centro di questa vicenda da anni lavora come badante in Trentino e non solo si è vista revocare dall’Inps il reddito di cittadinanza, ma l'ente aveva avanzato verso di lei anche la richiesta di rimborso per le somme percepite tra ottobre 2020 e novembre 2021. Il motivo? "La carenza del requisito dei dieci anni di residenza" spiegano i sindacati. La donna, con il supporto del patronato Inca Cgil, difesa dall’avvocato Giovanni Guarini, ha presentato ricorso contro la decisione dell’Istituto. "Nelle scorse settimane il giudice Michele Cuccaro, del tribunale di Rovereto, ha accolto il ricorso e dato ragione alla lavoratrice, rigettando le tesi di Inps" affermano i sindacati.

L'intoppo è nato dal fatto che la donna si è spostata per lavoro da un luogo a un altro per fornire la sua assistenza e, per un periodo, "non risultava iscritta all'anagrafe, a causa di una cancellazione per irreperibilità" racconta il direttore del patronato, Marco Colombo. Insieme all'avvocato, la donna è riuscita non solo a dimostrare di essere rimasta sul territorio, ma anche di esserci da più tempo.  

In questo caso, il cavillo al quale è stato possibile avvalersi è quello delle nota miniteriale 1319 del 19 febbraio 2020 che fornisce le indicazioni relative all'accesso al Reddito di cittadinanza per i senza dimora e alla verifica del possesso del requisito relativo alla residenza in Italia, in via continuativa, per almeno due anni, da parte delle persone cancellate dall’anagrafe per irreperibilità. 

"La residenza anagrafica è un elemento, è vero, ma se io dimostro di essere rimasto tutto il tempo sul territorio, ho accesso ai benefici - sottolinea il direttore Colombo -. Questa persona non è andata via, il fatto che non risulti all'anagrafe è un problema di forma e non di sostanza. E anche fosse di sostanza, la continuità nei dieci anni è stato dimostrato che non serve, ma vale solo per gli ultimi due".  

Questa è la prima volta che in Trentino il tribunale conferma il principio secondo cui i dieci anni di residenza in Italia non devono essere continuativi, ma possono essere raggiunti sommando più intervalli temporali. È requisito indispensabile, è opportuno precisarlo, che gli ultimi due anni, dei dieci totali, siano stati vissuti sul territorio nazionale senza interruzione.

La lavoratrice ha dimostrato, in ogni caso, di aver continuato a lavorare in Italia, ma per quel problema con l'accertamento della residenza, non le è stata modificata a seguito del cambio di datore di lavoro. "La continuità lavorativa risulta anche dal versamento dei contributi ed è implicito che il lavoro di assistenza e cura svolto da una badante per una persona residente in Italia implica la residenza sul territorio nazionale" ricordano i sindacati.

Ora Inps dovrà riconoscere alla lavoratrice una somma di dieci mila euro per l’annullamento dell’indebito e riattivare il reddito di cittadinanza per diciotto mesi, così come previsto dalla norma. "Soddisfazione di Inca Cgil per il riconoscimento di un diritto legittimo - concludono i sindacati -. La decisione del giudice, inoltre, sarà un punto di riferimento per altre situazioni simili".

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