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Indagini / Valsugana

Pergine, vendita falsi green pass: 86 persone indagate per corruzione

Continuano le indagini dei carabinieri sul caso del tamponificio trentino che vendeva i certificati con esito "a richiesta"

Sale a ottantasei il numero di persone coinvolte nel giro del tamponificio di Pergine Valsugana. I carabinieri del Comando provinciale di Trento, nella mattinata di martedì 19 aprile, hanno notificato l'avviso di garanzia ad altre 42 persone, in ordine all'ipotesi di reato di concorso in corruzione, falso ideologico e accesso abusivo a sistema informatico, procedendo contestualmente al sequestro preventivo di 48 green pass rafforzati. 

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Gli avvisi di garanzia di martedì mattina costituiscono una ulteriore tranche rispetto ai 44 notificati nei mesi precedenti a seguito delle indagini dei carabinieri sui centri che effettuavano tamponi con esito a richiesta a Pergine e Trento nord. In questo caso, per la prima volta, erano infatti stati sottoposti a sequestro preventivo i green pass (50 nella circostanza) agli indagati e ai loro familiari, poiché illecitamente conseguiti. 

L'indagine avviata all'inizio dell'anno ha visto in primis cinque persone, tra le quali un infermiere, indagate per associazione a delinquere, che si presentavano a falsificare gli esiti dei test per la diagnosi dell'infezione da covid-19 eseguiti nei due centri da loro gestiti. Le attività delle forze dell'ordine sono state condotte anche avvalendosi di intercettazioni telefoniche e ambientali, che hanno messo in luce un sistema ben strutturato nato dall'intuizione imprenditoriale del principale indagato, l'infermiere. Secondo quanto spiegato dagli inquirenti, quest’ultimo, avrebbe saputo sfruttare al massimo la situazione emergenziale approntando un fiorente attività nel campo dello screening diagnostico per il covid, in particolare cogliendo il potenziale economico che si celava dietro la necessità per gli utenti, principalmente quelli non vaccinati, di munirsi di green pass.

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La possibilità di gestire in maniera arbitraria gli esiti dei test nasali avrebbe infatti dato il via a un vero e proprio commercio di green pass. Negli accertamenti sarebbe emersa infatti una gestione parallela per un cospicuo numero di clienti fidelizzati, a favore dei quali venivano refertati esiti negativi, secondo le regolari cadenze temporali predeterminate con gli stessi, al fine di generare certificati verdi. 

Successivamente, approfittando della sempre più stringente evoluzione delle disposizioni normative volte al contenimento della pandemia, i sodali erano passati alla "vendita di positività", dando i falsi positivi, permettendo così a chi lo richiedeva di ottenere l'agognato green passa rafforzato, al termine del periodo di isolamento previsto e chiaramente dietro il pagamento di qualche centinaio di euro. 

Le persone che hanno ricevuto l'avviso di garanzia nella giornata di martedì 19 aprile, sono indagati perché ritenuti colpevoli di aver dato del denaro all'infermiere per fargli dare falsamente atto di aver eseguito test nasali rapidi con risultato positivo, con lo scopo di ottenere per sé o per i familiari il green pass rafforzato. 

In numerosi casi l'infermiere ha provveduto a certificare la positività da coronavirus senza effettuare il tampone, ma limitandosi a inserire i dati del cliente, presi dalle fotografie delle tessere sanitarie ricevute tramite whatsapp.  La fama del centro si era diffusa oltre provincia, diversi indagati infatti abitano in Alto Adige e, addirittura, c'è stato chi dal Piemonte, con l'aiuto di un tramite, è riuscito a ottenere il certificato senza essere stato anche solo una volta a Pergine Valsugana. 

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