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Cronaca San Giuseppe / Via Giuseppe Giusti

Minori, una nonna disperata: "Non portatemi via il nipotino"

Una donna di 47 anni racconta l'incredibile vicenda in cui si trova assieme alla figlia, una ragazza madre di 22 anni: il Tribunale dei minori ha emesso un decreto per l'adozione temporanea del piccolo, ma loro si oppongono

Una giovanissima nonna trentina, R.C. 47 anni, si sta battendo con tutte le sue forze per aiutare la figlia 22enne, madre di un bimbo di due anni e mezzo. La donna è disperata. Il suo timore - che è anche quello della figlia - è che un decreto provvisorio emesso dal Tribunale di Trento il 28 settembre 2011 diventi esecutivo, il ché significherebbe la possibilità di trovarsi con i carabinieri e un'assistente sociale fuori la porta di casa per prendere il bambino e affidarlo per un anno ad un'altra famiglia, come stabilito dal Tribunale dei minori in forza di una relazione scritta da un'assistente sociale.

Solo che, secondo la nonna e l'avvocato che la assiste - il procuratore legale Tomas Delmonte - quella relazione non corrisponderebbe più alla realtà attuale. Motivo per cui l'avvocato ha scritto una lettera all'assistente sociale che segue il caso e che ha materialmente vergato la relazione, una missiva che è stata anche inviata per conoscenza al presidente del Tribunale dei minori di Trento Benedetta Santaniello. Del caso si sta occupando anche la consigliere comunale Gabriella Maffioletti, che su delega del legale sta raccogliendo materiale utile a fare chiarezza sulla situazione.
 
La storia comincia nel 2009. La figlia è stata seguita dai servizi sociali del Comune di Trento già durante la gravidanza, quando si era presentata all'ospedale Santa Chiara per una visita di controllo. Il motivo dell'interesse dei servizi sociali era soprattutto la tossicodipendenza del compagno, oltre che la situazione in casa:  la relazione tra i due era inziata nel 2007, dopo qualche mese i due ragazzi erano andati insieme a convivere in un appartamento in affitto a Trento nord, ma nessuno dei due lavorava. Una circostanza che, proprio durante il controllo per la gravidanza in ospedale, aveva convinto i servizi sociali ad intervenire. Così, appena nato il piccolo, la madre e il bimbo erano stati portati in una residenza protetta, la casa Padre Angelo, in viale Bolognini a Trento: una struttura dove vengono ospitate ragazze madri.
 
Da parte della nonna come della madre non c'era stata nessuna opposizione alla decisione, che avrebbe comunque condotto ad un graduale reinserimento della giovane e del piccolo presso l'abitazione della nonna. Entrambe erano infatti consapevoli che la nascita di un bambino, i problemi di tossicodipendenza del padre (con cui nel frattempo i rapporti si erano interrotti, tanto che il piccolo porta il cognome della madre) e la mancanza di un lavoro, fossero ragioni più che sufficienti per una scelta di quel tipo. La ragazza oggi è ancora nella struttura, da cui però esce per andare a lavorare in una ditta di pulizie e recarsi a casa della madre quotidianamente.
 
Durante la sua permanenza nella struttura anche la giovane madre era caduta nel vortice della droga (per cui ha frequentato anche il Servizio tossicodipendenze del Sert), cui si erano associati anche dei disturbi alimentari. Secondo il racconto della nonna, però, questi problemi risalgono ormai al passato, tanto che la figlia ha inziato a lavorare (ha un contratto a tempo indeterminato) e cerca di dare una vita tranquilla al bimbo. Da almeno due anni, infatti, la madre e il minore trascorrono i week end e i periodi di vacanza presso l'abitazione della nonna materna e nell'ultimo anno tutti e tre si vedono quasi quotidianamente. La prospettiva era perciò quella di vivere tutti assieme a casa della nonna.
 
Per R.C. e la figlia, però, la doccia fredda è arrivata a settembre, con il decreto del Tribunale dei minori che stabilisce "il graduale affidamento del minore in una famiglia da individuarsi a cura dell Emaf (Equipe multidisciplinare per l'affidamento familiare, ndr) (...) per la presumibile durata di un anno e comunque fino a diversa determinazione del Tribunale". Come detto il provvedimento è scaturito dalle relazioni fatte dall'assistente sociale che ha in carico il caso. Una versione che però viene ribaltata dal legale di R.C. Il quale, nella sua lettera che prelude all'impugnazione del decreto del Tribunale, asserisce come le circostanze raccontate dall'assistente sociale non siano più esistenti.
 
Una doppia visione, quindi, con in mezzo un bambino di due anni e mezzo: "Sto vivendo in un incubo - ci racconta la nonna -  ho paura per mia figlia e per il mio nipotino. Loro due sono una cosa sola, se a mia figlia venisse tolto il bambino le conseguenze sarebbero brutte per entrambi". La nonna vive in un appartamento, è autonoma, lavora e sarebbe in grado di accogliere la figlia (che lavora pure lei e sembra aver chiuso con le droghe da almeno un anno) e il piccolo in casa sua.
 
Le carte bollate però raccontano due universi opposti. Da una parte c'è la relazione dell'assistente sociale, la quale sostiene che la nonna si sia opposta al progetto di reinserimento della figlia e del piccolo nella sua stessa casa. Non solo, secondo la relazione, a causa dell'atteggiamento della nonna, ci sarebbero "chiare dinamiche di conflitto tra lei e la figlia". 
 
Dall'altra, invece - oltre allo sfogo della nonna che si è rivolta ai giornalisti (che dimostra di tenerci moltissimo, a costo di mettere in piazza la sua storia) - c'è la lettera dell'avvocato Delmonte. Il legale scrive  che "la signora R.C. ha comunicato verbalmente già dalla primavera del 2011 a codesto servizio sociale la propria intenzione di accogliere nel suo nuovo appartamento la figlia e il nipotino". Nessuna contrarietà, quindi. Inoltre "non è vera l'affermazione di pagina 2 del provvedimento secondo cui la riacutizzazione del conflitto tra figlia e madre aveva prodotto una destabilizzazione dell'assetto emotivo della prima con ricaduta nell'uso di oppiacei, poiché il momentaneo uso di stupefacenti (si parla del febbraio 2011, ndr) è stato dovuto alla destabilizzazione provocata dall'isolamento vissuto nella comunità Padre Angelo e per il distacco forzato dalla di lei madre".
 
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