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Licenziamenti, salta il blocco: cosa succede il 1° luglio 2021

Niente proroga fino al 28 agosto. Dopo il 30 giugno le aziende potranno tornare a licenziare o, in alternativa, usufruire della cig gratuita prevista dal decreto Sostegni bis. Scontro tra Confindustria e i sindacati, mentre a rischio ci sono 600mila posti di lavoro

Salta la proroga per lo stop ai licenziamenti, ma ci sono soluzioni alternative. Nessun prolungamento al 28 agosto della norma che impediva alle aziende di licenziare i dipendenti, il blocco resterà in vigore fino al 30 giugno 2021: ma cosa succederà dopo quella data? Da luglio le aziende potranno tornare a licenziare, ma avranno anche la possibilità di utilizzare la Cassa integrazione ordinaria senza dover pagare le addizionali fino a fine 2021 con l'impegno a non licenziare per tutto il periodo in cui ne usufruiscono.

«All'esito di un percorso di approfondimento tecnico svolto sulla base delle proposte avanzate dal ministro Orlando in Consiglio dei ministri che prevedono un insieme più complessivo di misure per sostenere le imprese e i lavoratori nella fase della ripartenza, è stata definita una proposta che mantiene la possibilità per le imprese di utilizzare la Cassa integrazione ordinaria, anche dal primo di luglio, senza pagare addizionali fino alla fine dell'anno impegnandosi a non licenziare. Nell'ambito di questo percorso resta aperto il confronto con le parti sociali» si legge in una nota di Palazzo Chigi. Come riporta Today, dal Pd precisano che il pacchetto di misure contenuto nel decreto Sostegni bis contiene diverse norme importanti per la ripartenza, «dalla Cassa integrazione ordinaria gratuita fino a fine anno per le imprese che si impegnano a non licenziare al contratto di rioccupazione a tempo indeterminato, dal rafforzamento del contratto di solidarietà al contratto di espansione per favorire la staffetta generazionale nelle aziende fino agli sgravi contributivi del 100% per i lavoratori assunti nei settori del commercio e del turismo».  

A rischio 600mila lavoratori

Quanti sono i lavoratori che rischiano il posto senza la proroga del blocco? A quantificare l'impatto è Unimpresa, secondo cui sarebbero 600mila i posti di lavoro a poter saltare.Il pacchetto dedicato al lavoro contenuto nel decreto sostegni bis, infatti, introduce solo una serie di misure di stampo assistenzialistico e politiche passive che non metteranno le imprese italiane nelle condizioni di poter promuovere e sostenere l'occupazione. L'unica agevolazione concreta riguarda lo sgravio contributivo, ma tale intervento consente di coprire solo il 10% del costo del lavoro a carico di un'azienda. E' quanto denuncia il Centro studi di Unimpresa, che ha analizzato il testo del decreto sostegni bis approvato giovedì scorso dal consiglio dei ministri e non ancora pubblicato definitivamente sulla Gazzetta ufficiale.

«Così non si riparte» ha commentato il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi «le norme contenute del decreto sostegni bis in materia di lavoro, ancora una volta nel solco dei precedenti decreti fin qui adottati anche dal governo Conte, rappresentano pressoché esclusivamente un provvedimento di ''politiche passive''. Si tratta di misure che neanche minimamente contribuiscono a rilanciare ed incentivare le imprese e, conseguentemente, a promuovere il lavoro. La diminuzione dell'occupazione è la vera piaga di questa pandemia con 945.000 posti di lavoro persi e altri 300/600.000 pronti a evaporare allo spirare del blocco dei licenziamenti che con un colpo di spugna all'ultimo istante è stato riproposto».

«Tutte le risorse di questo decreto» insiste Assi «sono destinate a finanziare politiche assistenzialistiche che, per quanto necessarie e importanti per sostenere i lavoratori e le loro famiglie, se lasciate 'sole', non serviranno a restituire a queste persone un futuro basato sulla ripartenza delle loro imprese: ne consegue che, esauriti questi ultimi piccoli aiuti, il problema si ripresenterà più forte di prima. E non si può neanche pallidamente pensare che con il contratto di rioccupazione un'azienda assuma a tempo indeterminato un lavoratore solo perché beneficia di sei mesi di sgravio contributivo, poiché tale agevolazione non copre neanche il 10% del costo del lavoro annuo» osserva ancora il consigliere nazionale di Unimpresa.

«Servivano, e adesso ancora di più, servono, misure forti e concrete di vero sostegno all'occupazione. Servono - dice ancora - politiche attive forti per il rilancio delle nostre imprese, misure capaci di premiare le aziende che non licenziano e ancora di più quelle che assumono magari reintroducendo nel mercato del lavoro quei lavoratori espulsi da settori più in crisi. Nel decreto, tuttavia, non vi è nulla di tutto questo. Perché continuare a spendere soldi pubblici per pagare casse integrazioni in aziende ahimè ormai al capolinea e che licenzieranno all'alba del primo giorno utile dopo il divieto di licenziamento piuttosto che investire quelle risorse per le aziende che, tra mille difficoltà, continuano a investire dando loro sgravi contributivi e abbassando il costo del lavoro? Le aziende- conclude - e i loro lavoratori attendevano ben altro, ci si auspica adesso la tanto richiesta riforma del lavoro». 

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