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Perfido, processo contro la 'ndrangheta in bilico

Il giudice Carlo Busato ha respinto tutte le eccezioni sollevate dalle difese: il processo non sarà trasferito in Calabria. Ma gli avvocati hanno chiesto tempo per valutare riti alternativi

Sono ancora incerte le sorti del processo Perfido, il primo contro la ’ndrangheta in Trentino e in particolare nel settore del porfido in val di Cembra. Venerdì 18 febbraio in Corte d’assise a Trento si è celebrata la terza udienza del filone principale del processo (per i quattro imputati che hanno invece optato per riti alternativi la sentenza è arrivata lo scorso 11 febbraio).

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Dopo due ore di camera di consiglio, il giudice Carlo Busato ha respinto tutte le eccezioni sollevate dagli avvocati degli imputati. In particolare, ha deciso che il processo si celebrerà a Trento e non in Calabria come speravano le difese perché, ha spiegato, non conta tanto il “pactum sceleris” (dove è stata costituita l’associazione mafiosa), ma dove l’organizzazione opera. In questo caso, il Comune di Lona Lases in val di Cembra dove si è radicata una cosca che “pur legata alla ’ndrangheta calabrese, godeva di autonomia decisionale”.

Non solo: il giudice ha ritenuto infondata anche l’osservazione delle difese per cui non sarebbe chiara la data di inizio della presunta associazione mafiosa trentina: ciò che conta è che l’associazione era già attiva al momento dell’inizio delle indagini e lo è stata fino all’ordinanza di custodia cautelare del 15 ottobre 2020.

La Corte ha rigettato anche la richiesta, arrivata all’ultimo minuto questa mattina, della presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero dell’Interno di costituirsi parte civile, proprio perché “tardiva” rispetto ai termini processuali. Le altre parti civili - tre lavoratori cinesi, il Comune di Lona Lases, la Provincia di Trento, i sindacati (Fillea Cgil, Libera, Filca Cisl), l’associazione Libera e la società editrice del mensile QuestoTrentino - si erano costituite già durante la prima udienza lo scorso 21 gennaio.

Respinta anche la tesi della difesa di Innocenzo Macheda, per cui si sarebbe ravvisata una “incapacità processuale”. Per il giudice, infatti, “il signor Macheda (ritenuto il capo della cosca trentina e il riferimento diretto della cosca calabrese dei Serraino, ndr) non presenta alcun segno di decadimento cognitivo”.

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Così, letta l’ordinanza, Busato ha dichiarato aperto il dibattimento. Ma a quel punto l’avvocata di Macheda Giovanna Beatrice Araniti (in video collegamento) ha chiesto di procedere con un rito alternativo: l’abbreviato condizionato. Abbreviato perché manca il dibattimento, ovvero il cuore del processo penale, con il confronto tra le parti e le testimonianze. Condizionato perché la difesa vorrebbe comunque interrogare dei testimoni e trascrivere le intercettazioni (nell’abbreviato l’imputato viene invece giudicato sulle intercettazioni già trascritte dalle forze dell’ordine durante le indagini, facendo così risparmiare ore e ore di lavoro). Intercettazioni che, essendo in parte in dialetto calabrese, potrebbero essere interpretate diversamente. “Più che un abbreviato questo diventa di fatto un dibattimento”, è stato non a caso il commento del giudice.

A quel punto, anche tutti gli altri avvocati hanno chiesto che i loro imputati vengano “rimessi in termini”. Ovvero di poter rivalutare la propria strategia difensiva per chiedere eventualmente anche loro riti alternativi. “Il processo finisce qua”, ha commentato amareggiato Walter Ferrari, portavoce del coordinamento lavoratori porfido, da anni in prima linea nel denunciare le irregolarità del settore. Il suo timore infatti è che, senza testimoni, il processo finisca in fretta senza portare a galla il sistema delle cave del porfido che ha permesso alla ’ndrangheta di infiltrarsi in Trentino.

Il giudice ha concesso agli avvocati tempo fino alle 15.30 per valutare il da farsi.

Aggiornamento: Le richieste delle difese e la decisione del giudice

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