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In pensione a 64 anni o con quota 41: cosa cambia

Il piano del governo dal 1° gennaio 2023 prevedrebbe una riduzione del 3 per cento sulla parte retributiva per ogni anno di anticipo

"Andrebbe considerata l'ipotesi di convergere gradualmente, ma in tempi rapidi, verso una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro". Così il presidente della Corte dei conti Guido Carlino ha parlato qualche giorno fa in un'audizione sul Documento di economia e finanza (Def) davanti alle Commissioni congiunte Bilancio di Camera e Senato. L'obiettivo è chiaro: andare verso un'età fissa, per tutti, alla quale lasciare il lavoro. Le idee su come andare in pensione dal primo gennaio 2023 non mancano

L'uscita dal lavoro a 64 anni per tutti

Che la riforma delle pensioni permetterà di lasciare senza difficoltà il lavoro ben prima dei 67 anni è ad oggi una delle poche certezze. Ma se il punto fermo dei sindacati è sempre lo stesso - pensioni già a partire dai 62 anni per tutti (impossibile) o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica (i tecnici non la reputano sostenibile) -, il governo sembra intenzionato a mettere sul tavolo una nuova proposta. In questi mesi l'esecutivo non è mai apparso propenso a discostarsi troppo dalla soglia anagrafica minima dei 64 anni fissata dalla legge Fornero per i lavoratori totalmente contributivi. Il piano è accelerare nelle prossime settimane e trovare la quadra con i 64 anni "al centro".

Il governo vorrebbe ricalcolare l’assegno col metodo contributivo perché la flessibilità in uscita sia sostenibile, in modo che non abbia cioè un impatto sui conti pubblici. Cgil, Cisl e Uil non potrebbero mai dire di sì se ciò comportasse un taglio del 30 per cento, come accade per esempio con Opzione donna, confermata per tutto il 2022.

La mediazione potrebbe essere la seguente: via dal lavoro da 64 anni con almeno 20 di contributi e una penalizzazione del 3 per cento al massimo per ogni anno di anticipo. A patto che la pensione spettante non sia troppo bassa. Questa formula è già realtà per i contributivi puri, quelli che lavorano dal 1996, con un multiplo di 2,8 volte: si esce a 64 anni solo con pensioni di almeno 1.311 euro. Limite eccessivo, per i sindacati. Il governo potrebbe abbassarlo, se decidesse di estendere questa formula a chi è nel sistema misto (retributivo e contributivo).

L’Europa non si opporrebbe perché così facendo si estenderebbe di fatto il contributivo a tutti. I numeri dicono inoltre che il 90 per cento delle persone in uscita dal lavoro andrà in pensione con il calcolo misto e che la parte retributiva peserà solo per il 30 per cento sull’assegno. 

Quota 41 è sempre sul tavolo

Le parti sociali, dal canto loro, da tempo hanno messo nero su bianco le richieste: vorrebbero l'estensione della flessibilità a partire dai 62 anni o con 41 di contributi a prescindere dall'età, permettendo ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione senza penalizzazioni per chi ha iniziato a versare prima del 1996. Tra le ipotesi anche la modifica del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita. Cgil, Cisl e Uil puntano su condizioni più favorevoli e strutturali per l'accesso alla pensione delle categorie più deboli, ad esempio gli usuranti che rientrano nell'Ape sociale, che potrebbe essere ampliata, diventando quasi strutturale. 

C'è sempre anche il piano Tridico. Il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, ha più volte rilanciato la proposta di erogare a chi lascia il lavoro a 64 anni solo la parte contributiva dell'assegno maturata fino a quel momento, per poi pagare la quota retributiva della pensione una volta raggiunti i 67 anni (il requisito di età fissato dalla Fornero). Il putno forte di questo piano è la sostenibilità per le casse dello Stato. Secondo Tridico questo tipo di anticipo costerebbe infatti 400 milioni di euro l'anno. Una spesa molto inferiore rispetto ad esempio ai 10 miliardi di "Quota 41". 

La situazione attuale

Quota 102 - 64 anni di età e 38 di contributi - scadrà a fine anno e, in assenza di una riforma previdenziale, a partire dal 2023 tornerebbe in vigore la Legge Fornero che prevede il pensionamento a 67 anni. 

Opzione donna continuerà per tutto il 2022 a garantire l'uscita anticipata alle lavoratrici dipendenti e autonome che hanno compiuto 58 o 59 anni nel 2021 e possono contare su 35 anni di contributi.

Anche l'Ape sociale è stata confermata per il 2022 e allargata a più mansioni gravose: da 15 a 23 categorie. Per chi invece accede al pensionamento con la legge Fornero nessun cambiamento è atteso per il 2022, né nelle modalità di accesso né nel sistema di calcolo applicato per l’assegno previdenziale.

Quest'anno tra Quota 102, Opzione donna e Ape sociale allargata, i lavoratori in potenziale uscita anticipata nel 2022 saranno 55mila circa. Per il 2023 serve un intervento più ampio. E tutto va nella direzione dei 64 anni "generalizzati" per uscire dal lavoro.

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