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Le armi che Mosca sta usando in Ucraina arrivano anche dall'Italia

Dieci Paesi Ue hanno esportato equipaggiamenti militari in Russia nonostante l'embargo imposto da Bruxelles nel 2014. Nel 2021 le vendite hanno sfiorato i 40 milioni di euro

Bruxelles ha appena “chiuso” una falla normativa che aveva permesso ai 27 Paesi Ue di continuare a esportare armi in Russia nonostante l’embargo in vigore dall’annessione della Crimea nel 2014. Solo l’anno scorso, stando ai dati della Commissione europea, il valore delle vendite è stato di 39 milioni di euro (nel 2020 era stato 25 milioni).

Il divieto di vendere equipaggiamento militare a Mosca introdotto otto anni fa prevedeva una clausola per cui rimanevano validi i contratti di fornitura firmati prima dell’agosto 2014, spiega Francesco Bortoletto su EuropaToday. È dunque verosimile che alcuni di questi armamenti siano stati utilizzati in quella che la Russia chiama “operazione militare speciale” in Ucraina.

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Ma, come spiega la Reuters, alcuni Stati membri, tra cui Polonia e Lituania, hanno impugnato la normativa, innescando un dibattito politico tra i governi dei Ventisette. L’intesa sull’eliminazione di questa clausola per l’export di armi è arrivata solo ad inizio mese ed è stata ufficializzata l’8 aprile: è stata inserita nel quinto pacchetto di sanzioni approvato dai leader Ue, pur senza essere stata annunciata dalla Commissione nelle sue comunicazioni ufficiali.

Un’inchiesta di Investigate Europe ha rivelato che dieci Paesi europei hanno esportato attrezzature militari a Mosca per 346 milioni di euro tra il 2015 e il 2020, stando ai dati del Consiglio sulle esportazioni di armi convenzionali (Coarm). Il materiale bellico venduto alla Russia varia molto: missili, bombe, siluri, fucili, pistole, razzi, veicoli terrestri e navi. Secondo i dati del Coarm, dal 2014 gli Stati membri hanno rilasciato più di mille licenze (cioè autorizzazioni per il commercio di armi), mentre quelle rifiutate sono state appena un centinaio.

In cima alla lista si trova la Francia. Parigi ha venduto equipaggiamenti militari a Mosca per circa 152 milioni di euro, cioè circa il 44% di tutto l’export dell’Ue nel periodo considerato. Si tratta di bombe, razzi, siluri, missili, cariche esplosive, armi direttamente letali ma anche apparecchiature di imaging, aerei con i loro componenti e “veicoli più leggeri dell’aria”. E ancora termocamere per i carri armati, sistemi di navigazione e rilevatori a infrarossi per i jet e gli elicotteri da combattimento, tutto materiale che si trova ora a bordo dei veicoli che operano sul fronte ucraino. Per non parlare degli agenti chimici, biologici, radioattivi, antisommossa e le relative attrezzature.

Segue Berlino con quasi 122 milioni di export, il 35% del totale Ue. Principalmente navi rompighiaccio, ma anche fucili e veicoli terrestri speciali. Le esportazioni sono etichettate come “dual use” (cioè a doppio uso, militare e civile), dunque secondo i legislatori tedeschi non violerebbero l’embargo.

Al terzo posto c’è l’Italia. Tra il 2015 ed il 2020 abbiamo venduto equipaggiamenti militari per un totale di 22,5 milioni di euro, con il contratto più grande siglato da Iveco per veicoli terrestri. E proprio i veicoli modello Lynce, assemblati in Russia con parti prodotte dalla casa di Torino, sono stati identificati in Ucraina dagli inviati di La 7. Stando ai dati disponibili, il flusso di armi italiane verso la Russia è diminuito dopo il 2015, per risalire l’anno scorso. Secondo l’Istat, tra gennaio e novembre 2021 l’Italia ha consegnato quasi altri 22 milioni di euro di attrezzature (oltre la metà dell’export totale Ue dello scorso anno), principalmente fucili, pistole e munizioni. E anche queste sono state vendute sul mercato civile russo, che include la sicurezza privata e alcuni corpi speciali dello Stato.

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