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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Reparto Covid, un viaggio su un «altro pianeta» raccontato da Eleonora

Il lato umano, quello che non si vedrebbe anche senza dispositivi di protezione obbligatori e necessari per tutelarsi, lo ha raccontato una giovane donna che ha attraversato mezza Italia per prendersi cura di pazienti Covid

Coronavirus, contagi, chiusure e proteste. Da oltre un anno la vita di tutti è condizionata dall'arrivo di questo virus, ma com'è lavorare a stretto contatto con questa piaga? Per Eleonora Ciancarelli, protagonista di questa storia, entrare nel reparto Covid è come partire, ogni volta, per un altro pianeta. «Amici e parenti, mi chiedono spesso come sia lavorare nel reparto Covid-19» racconta Eleonora. «La risposta che fornisco a tutti è che sembra di partire per un altro pianeta, sarà la mia parte nerd a prevalere, oppure quella che ha bisogno di fantasticare sulle cose, non saprei, ma è davvero così che mi sento. Si arriva a lavoro sapendo che per qualche ora il contatto con la realtà non sarà più lo stesso, ogni persona si prepara in uno suo personalissimo modo, io sto attenta a non bere troppo, cerco di fare un rapido check fisico “cervicale ok, emicrania pare non esserci, ok…go” e rispondo a tutti i messaggi e le e-mail prima di prepararmi al lancio».

Eleonora con colleghi-2

Eleonora è una fisioterapista con una specializzazione in ambito respiratorio che da Anzio, dal mare, si è trasferita a Mori con il fidanzato, in una zona collinare in un anno in cui le nevicate e il freddo sono stati abbondanti. Si è trasferita perché innamorata del Trentino e perché a Volano le è stato proposto di lavorare in una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale) covid. La bellezza di questa storia è quanto di buono Eleonora sia riuscita a trarre da questa opportunità di lavoro e da questo cambio vita, così forte, così difficile visto l'incarico che ha assunto. Il suo contratto in questa struttura è scaduto nel 2021 e lei ha voluto ringraziare i suoi colleghi con una lettera che rievoca i mesi trascorsi insieme, dove la distanza la creano i dispositivi di protezione e si impara, giorno dopo giorno, a comprendere i bisogni dell'altro da ogni singolo gesto.

Lavorare in un compartimento Covid richiede una preparazione molto precisa ed Eleonora l'ha raccontata nei minimi dettagli, così come ha raccontato quell'esperienza che certamente non dimenticherà, ma che ha spiegato che porterà nel cuore per quanto le ha dato sotto l'aspetto umano.

«La preparazione è minuziosa» racconta, «nonostante sia un gesto ripetuto più volte, nessuno distoglie l’attenzione da quello che fa “camice di plastica pesante, mascherina ben aderente con annessa prova, cuffia, visiera e doppio guanto” e anche qui, ogni persona ha il suo rituale, la sua abitudine, la sua preferenza…io sto attenta a sistemare gli elastici sottili della mascherina, cerco di non farli aderire nella stessa zona della nuca, più volte sono state causa di forti emicranie. Si parte… Si apre la prima porta della zona filtro, la seconda e… Benvenuti nel reparto Covid-19, una pianeta con una sua gravità, molto simile alla nostra, lievemente più pesante: camice e visiera rendono i movimenti meno fluidi e il corpo ci mette giorni a memorizzare i nuovi limiti e il nuovo ingombro fisico a suon di testate e di urti continui a colleghi ed oggetti». 

Proteggersi in un reparto Covid è, chiaramente, la cosa più importante e una condizione alla quale occorre abituarsi quanto prima. Eppure, non è la cosa più dura da affrontare, perché come racconta Eleonora «l’aria rappresenta la difficoltà maggiore, completamente diversa da quella appena lasciata sulla Terra, è calda, umida, con un odore pungente, un misto di plastica e disinfettante, ma se lo senti, è un buon segno, il tuo corpo sta bene e “la tuta” ha retto ai precedenti lanci. Anche il rapporto con gli altri partecipanti alla missione è completamente diverso, ho imparato a riconoscerli dalla loro camminata, dalla loro sagoma e ovviamente dagli occhi, ed è strano perché di alcuni di loro non conosco il volto ma ho stampato nella mente i loro occhi, quelli preoccupati, quelli tristi e soprattutto quelli che sorridono e sono certa che potrei riconoscerli ovunque solo per quei quattro cm di pelle scoperta. Se alcuni sensi si perdono, il tatto per ovvi motivi non è al massimo della sua funzionalità, altri si acuiscono, vista ed udito vincono l’ottundimento dovuto alla “tuta” e diventano strumenti preziosi con il quale poter valutare ed aiutare al meglio gli abitanti di questo strano Pianeta: “ehm…oggi Renzo non ha un bel colorito”, “hai sentito Pierina come respira?”. E probabilmente diventa più forte il sesto senso». 

C'è poi quell'aspetto che non tutti vedono, che Eleonora ha raccontato anche a TrentoToday con immensa gratitudine per ciò che le ha fatto provare: il lato umano di tutto questo. Quel lato umano che lei ha percepito anche sotto a tutti quegli strati dei dispositivi di protezione, che va oltre a guanti e mascherine, un calore che viene percepito dall'interno e si propaga in tutto il corpo, perché al di là delle difficoltà e della paura, in quel luogo ciò che rimane al centro sono le persone, sempre. Non solo la salute, ma anche i bisogni di ogni tipo: dal desiderio di Nutella alla necessità di vedere in video-chiamata i propri parenti. «Ho partecipato a tantissime video-chiamate» racconta Eleonora. «L'attenzione verso il prossimo che ho visto lì, raramente si trova in giro».

Eleonora ha lavorato per un tempo relativamente breve in quel luogo, ma lo racconta con una tale intensità che sembra aver trascorso anni lì dentro. «Tre mesi che sembrano una vita» racconta, «perché il tempo su questo Pianeta si muove più lentamente. Ringrazio tutti i miei colleghi e le mie colleghe “le mie poppe”, dalle signore delle pulizie che spendono sempre cinque minuti del loro tempo per sincerarsi del benessere dei pazienti, agli infermieri super competenti, ai colleghi oss ed ausiliari instancabili e alle dottoresse dolcissime. È stato un onore e un privilegio, poter lavorare con Voi».

Il viaggio in questo luogo, l'esperienza lavorativa che ha condotto Eleonora in Trentino è finita, ma le ha donato molto e per questo ora non si ferma e, insieme al fidanzato psicologo, cerca lavoro, per continuare a portare il suo contributo nella provincia di Trento. «Mi sono innamorata del Trentino» conclude la giovane donna «sono stata accolta a braccia aperte e sono davvero grata per quello che ho vissuto. Ora cerco lavoro per rimanere». 

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