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Rinchiudere, espellere, allontanare: lessico dell'accoglienza?

È davvero possibile che un incensurato si faccia 4 mesi di carcere preventivo, in attesa di giudizio, per le accuse di rissa e di resistenza a pubblico ufficiale?

Gentile direttore,

Martedì 13 novembre ho avuto il piacere di assistere alla proiezione del film "La nave dolce", con a seguire l'intervento dell'autore Daniele Vicari. Un film documentario ben fatto ed estremamente attuale che ha portato la platea a ragionare sulla politiche migratorie del nostro Paese dove l'esistenza e il funzionamento dei CIE lasciano poco spazio per parlare di un Paese e di una società civili e democratici.

Il film e il dibattito mi hanno fatto pensare al nostro territorio, alla città di Trento, dove ancora oggi 13 ragazzi incensurati sono rinchiusi in carcere da 4 mesi, in attesa di... cosa?

È davvero possibile che un incensurato si faccia 4 mesi di carcere preventivo, in attesa di giudizio, per le accuse di rissa e di resistenza a pubblico ufficiale? Il fatto che si tratti di persone straniere, per di più immigrati provenienti dall'Africa subsahariana, non c'entra nulla? Vorrei che qualcuno mi portasse anche solo un caso analogo dove i coinvolti fossero incensurati italiani. Non si tratta forse di una condanna politica emessa prima dello svolgimento del processo, come punizione esemplare per mostrare ai cittadini infuriati che le istituzioni si muovono e affrontano "efficacemente" i problemi di ordine pubblico?

Peccato che così facendo assistiamo allo spettacolo di un sistema politico e di una (in)giustizia che creano una reazione a catena: non affrontano i problemi socio-politici alla base di eventi come quelli di luglio in Piazza Dante, ma ne creano di nuovi contribuendo alla formazione di un sistema sociale basato sull'ingiustizia e sull'occultamento della complessità del reale, per non doverlo affrontare in tutte le sue sfaccettature.

Allora si crea la sofferenza di 8 persone che hanno accettato di patteggiare non perché colpevoli ma perché ormai disilluse dalla giustizia italiana e non più in grado di sostenere la permanenza in carcere, senza potersi mettere in contatto con i famigliari, per chi li ha, per rassicurarli sulla loro salute. Già, perché il diritto a telefonare è applicabile solo a chi dimostra l'associazione tra il destinatario della telefonata e un'utenza telefonica, cosa alquanto complicata per chi ha famiglia in un Paese straniero.

Si arriva così al disorientamento di 8 persone, uscite dal carcere senza famigliari pronti ad ospitarle, che non possono stare né transitare per Trento grazie all'altra efficace (in termini mediatici) manovra della Questura che è il foglio di via triennale dal territorio comunale, senza un lavoro e quindi un salario per pagarsi un affitto e senza una casa perché la Provincia ha deciso, subito dopo la carcerazione, a luglio, di espellere tutti gli arrestati dagli alloggi in cui erano ospitati per il progetto di accoglienza Emergenza Nordafrica (22 sui 24 arrestati sono richiedenti asilo), prima che venisse emessa una qualsiasi condanna (ma la nostra Costituzione cosa dice in merito?).

Queste persone non verranno espulse dall'Italia, non passeranno per i CIE, perché sono richiedenti asilo in quanto fuggiti da una guerra (quella in Libia in cui l'Italia ha avuto il suo ruolo) che è caduta sulle loro teste con il fragore delle esplosioni e con il silenzio della paura di perdere le poche sicurezze conquistate a fatica dopo la fuga dai paesi d'origine; o perché sono già titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari o di protezione sussidiaria o internazionale.

Ora questi ragazzi sono qua, in Trentino, ospitati da due famiglie che hanno messo a disposizione casa, tempo, risorse materiali e affettive, ma che non ce la possono fare da sole.

Qual è allora la loro prospettiva?

La vita in strada, in altre città d'Italia, perché con il permesso umanitario non si può lavorare all'estero. Ma sì, esternalizziamo il problema: penserà qualcun altro a risolverlo!

Non è finita. Arriviamo all'altra grande sofferenza: quella di 14 ragazzi in carcere, di cui 13 incensurati, di cui 12 richiedenti asilo. In 12 hanno assistito alla prima udienza del processo che li vede coinvolti come imputati, il 7 novembre, e hanno dovuto subire un'altra, grandissima, ingiustizia.

Il Potere conosce le immagini più efficaci per manifestarsi: questa volta ne ha scelta una terribile e che non pensavo di poter vedere oggi a Trento, Italia (una città e un Paese civili?). La scena del film di Vicari, quando migliaia di cittadini albanesi arrivati speranzosi con la nave Vlora nel porto di Bari, vengono rinchiusi nello stadio della città con il caldo dell'estate pugliese, senza servizi igienici e senza acqua e cibo se non quelli lanciati dall'elicottero (perché nessuno osava nemmeno entrare nello stadio per la paura della giusta rabbia di molte di quelle persone per il trattamento subito), questa immagine di un Potere che mostra la sua brutalità mi ha riportato alla "scena" del 7 novembre dove un piccolo esercito di agenti di polizia penitenziaria scortano 12 ragazzi ammanettati e legati tra loro da una catena (magari il termine tecnico non sarà questo) e lasciati così per tutta la durata dell'udienza, come schiavi di un sistema che sa come sfruttare le persone lavandosene le mani quando emergono delle problematiche (di cui si sapeva, ma che la politica trentina ha fatto sempre finta di non vedere!). I ragazzi, già umiliati, erano ancora più confusi dalla mancanza di una traduzione efficace di quanto si dibatteva.

La prossima udienza sarà il 18 dicembre e poi ce ne saranno altre... E queste persone devono continuare a stare in carcere in attesa della fine del processo? Perché? Sono davvero così pericolose?

Ma chi di voi, istituzioni, giudici, poliziotti, "cittadini" subito pronti a condannare al carcere a vita ("buttate via le chiavi" diceva un commento online ad uno degli articoli apparsi su L'Adige in merito ai "fatti" di Piazza Dante), conosce queste persone? Chi si è preso il disturbo di raccogliere ed ascoltare la loro voce, le loro storie di vita? Chi ha provato a superare le cornici culturali del proprio mondo per entrare in contatto le loro?

Allora, accogliente società trentina, la smettiamo di voler nascondere la testa sotto la sabbia per far finta di vivere in un' "isola felice"? Le isole felici non esistono da nessuna parte; una città più giusta, solidale ed equa la si può costruire ovunque, se si smette di pensare che con la crisi non c'è spazio per gli altri, che eliminando il problema lo si risolve, che rinchiudendo, espellendo ed allontanando delle persone si garantisce la pace sociale.

Ma poi, quale pace sociale?

Mi preoccupa di più vivere in una società che nasconde i problemi, che in una che con coraggio li affronta, vivendoli fino in fondo, accettandone la complessità e le sue mille facce.

Ricordo ancora la risposta di un poliziotto, in Piazza Dante, il pomeriggio del 21 luglio, quando già c'erano le avvisaglie di quanto sarebbe successo. Ingenuamente gli avevo domandato se erano previsti interventi strutturati per affrontare le problematiche legate alla convivenza conflittuale in Piazza Dante ("Perché la Provincia non lavora con la Questura, con il privato sociale, con le realtà confessionali, per creare equipe multispecializzate di educatori di strada, mediatori del conflitto/interculturali e con la formazione della polizia in questo senso, organizzando iniziative di dialogo tra le parti in causa per la promozione di percorsi attivi di partecipazione alla vita sociale?"). Lui mi aveva risposto: "Noi il nostro lavoro lo facciamo". Cosa di preciso? "Pattugliamo".

Già, esattamente quello che serve per affrontare la complessità e portare pace, giustizia e garanzia del diritto ad una vita dignitosa per tutti.

 

Chiara Pasquato

 

"Le norme per evitare il carcere preventivo esistono, ma il vero problema è l'interpretazione di queste norme. La misura cautelare della detenzione dovrebbe essere l'ultima soluzione e invece, nella maggior parte dei casi, viene usata come unica soluzione" V. Pendini, Presidente delle camere penali liguri

 

P.S. A chi intendesse dimostrare la propria solidarietà a queste persone, a chi volesse conoscere alcune di loro, ascoltarle e confrontarsi con loro, rivolgo l'invito a partecipare a una delle due cene sociali organizzate sabato 24 novembre a Lavis e venerdì 30 novembre a Rovereto, di cui trovate informazioni in assemblearichiedentiasilo.blogspot.it.

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