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Franco Causio, barone con umiltà, sacrificio e lavoro: "Vincere è l'unica cosa che conta"

Franco Causio al TrentinoBookFestival di Caldonazzo

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di TrentoToday

Chi fa firmare il gesso sul braccio, chi il libro "Vincere è l'unica cosa che conta", chi una maglia bianconera. Tanto affetto attorno a Franco Causio, accolto dai calciofili al campo sportivo di Caldonazzo durante il Tbf, in un evento promosso dalla società sportiva Audace.

Nella mitologia calcistico-televisiva-nazionalpopolare Causio è immortalato sul volo di ritorno da Madrid con la Coppa del Mondo 1982 quando si giocò la partita di scopone scientifico più conosciuta della storia italiana, Causio-Zoff contro Pertini-Bearzot. Il "barone" Causio ha raccontato come fece vincere quella partita al suo capitano, facendo simpaticamente arrabbiare il presidente. Che però quando fece visita al Friuli terremotato mandò i Carabinieri al centro sportivo dove si allenava l'Udinese per andare a prenderlo e farne la sua guida tutto il giorno della visita a Udine. Causio guida presidenziale per Pertini.

Causio è sotto un gazebo davanti alla porta del campo sportivo e viene intervistato da uno juventino doc come Francesco Marcovecchio. La carriera dell'ala nata in Salento nel 1949 parte da Lecce, in serie C, dove a 16 anni fece l'esordio nelle ultime 3 partite di campionato perché i titolari scioperarono visto che non percepivano stipendio. Venne quindi la Sambenedettese, sempre in serie C. «Fu un periodo di grandi sacrifici, in quel momento aiutavo mio papà che aggiustava cucine a gas». Causio riassume la sua prima fase di carriera con l'acronimo Usl, umiltà-sacrificio-lavoro. Riferendosi ai ragazzi in maglia blu seduti ad ascoltarlo ricorda loro che «lo sport vi insegna a vivere, ad essere rispettosi».

Poi venne un provino a Forlì e, ma non vi sono le prove documentali che lo confermino, pare che a indirizzarlo verso Torino fosse stato un certo Luciano Moggi. «Fra il 1966 ed il 1968 arrivai alla Juve, vivevo in convitto con i ragazzi della Primavera. Mi hanno fatto rimettere i piedi per terra, ho giocato una partita in 2 anni». Quindi una stagione alla Reggina (30 presenze e 5 gol), una a Palermo e nel 1970-1971 il ritorno alla Juve. Fra il 1966 ed il 1968 il modello era Cinesinho, mentre in quell'annata fu il tedesco Helmut Haller. L'avventura da campione del barone cominciò da uno Juve-Milan, con l'allenatore Armando Picchi che gli disse «vai che da oggi non esci più». In cifre il decennio di Causio in bianconero si riassume con 447 partite delle quali 304 in campionato, 72 gol (49 in campionato), 6 scudetti, 1 Coppa Uefa, 1 Coppa Italia. In una Juve piena di meridionali, una delle più amate dai tifosi. Una Juve tutta italiana prima che arrivassero Liam Brady, Michel Platini e quindi Zibi Boniek. Al tempo non contava così tanto l'Europa, «perchè anche l'avvocato Agnelli desiderava di più primeggiare in campionato e nella Coppa Italia. Sono andato via dalla Juve a 31 anni e per il resto della mia vita ho cercato di restituire alla Juve ciò che mi ha dato».

Parole che sono molto simili a quelle scritte oggi da Simone Padoin, non certo un "fenomeno" come Causio, ma comunque uno capace di vincere 5 scudetti in 5 anni.

Tappa successiva per Padoin sarà Cagliari, mentre per Causio fu appunto Udine. Tre anni, con la possibilità di giocare con un "fenomeno" del calcio mondiale, il brasiliano Zico. Quindi la Juve provò a riportare Causio a Torino, ma «non potevo tornare con Trapattoni, l'allenatore che mi aveva mandato via».

Quindi Causio poteva scegliere tra Inter e Napoli, dove avrebbe potuto giocare con un altro "fenomeno", che risponde al nome di Diego Armando Maradona. La scelta però fu neroazzurra, con un po' di amarezza a posteriori. Quindi di nuovo Lecce e due anni alla Triestina prima di appendere le scarpe al chiodo nel 1988.

«Rimasi quindi due anni come dirigente ed entrai anche in consiglio comunale a Trieste, ma la politica non mi piaceva». Causio vola in Brasile per la Coppa Pelè, dove conoscerà anche sua moglie. Quindi il ritorno come osservatore alla Juve, «la squadra della provvidenza». In un Padova-Inter la scoperta e la chiamata in bianconero di Del Piero.

Un aneddoto infine su un grande signore del calcio italiano, Gaetano Scirea, che scambiò dopo la finale Italia-Germania del 1982 la sua maglia numero 7 con il 15 di Causio.

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