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Cronaca

Alzheimer, in Trentino si stimano 10.000 casi: alimentazione decisiva

L'effetto sulla società della malattia sarebbe tale da coinvolgere oltre 30.000 persone, impegnate nell'assistenza ai pazienti. Mentre in Italia si stimano un minimo di 1.000.000 di malati, numero destinato a crescere

I dati ufficiali sull'Alzheimer nella Provincia di Trento risalgono al 2009: 7200 i malati censiti. Nel 2013, l'Unità Valutativa per l'Alzheimer ha riscontrato 525 nuovi casi. Possiamo quindi ipotizzare una presenza di circa 10.000 malati, intorno ai quali ci sono mediamente 3 persone che se ne prendono cura. L'effetto sulla società della malattia sarebbe tale da coinvolgere oltre 30.000 persone. Mentre in Italia si stimano un minimo di 1.000.000 di malati, numero destinato a crescere, dato l'allungamento delle vita e il fatto che un ottantenne su tre, in media, si ammala. Questi i dati presentati dal presidente dell'Associazione Alzheimer Trento Onlus sabato 12 settembre presso la Sala Conferenze CaRiTro di Trento, durante il primo degli appuntamenti del mese Alzheimer, "Alimentazione e Alzheimer". 

Gli interventi degli specialisti sono stati incentrati sulla corretta alimentazione. Michele Pizzinini, specializzato in Scienze dell'Alimentazione, ha messo in guardia contro i fattori che aumentano il rischio di Alzheimer: l'obesità e l'eccesso di zuccheri. Tra le prime regole di una corretta alimentazione, dunque, fare colazioni molto abbondanti, privilegiare i carboidrati a pranzo e le proteine a cena, diminuendo l'assunzione di zuccheri e aumentando gli antiossidanti naturali, frutta e verdura. Andrea Arighi, Neurologo dell'unità dipartimentale malattie neurovegetative presso l'Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, ha invece spiegato che sono presenti nel corpo biomarcatori che permettono di individuare il futuro insorgere dell'Alzheimer anche con 10-15 anni di anticipo. Quanto alla cura pratica dell'alimentazione del malato, Giorgia Caldini, Responsabile Centro Diurno Alzheimer Trento, ha spiegato che essenziale è conoscere bene la persona malata. Non c’è, infatti, un’evoluzione tipo della malattia dunque la cosa migliore è lavorare sulle singole biografie, per non stravolgere le abitudini, ma anzi rinforzarle. 

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