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La storia

Marco Macari, l'altoatesino bloccato in Israele: "Per la Farnesina dovrei lasciare moglie e figli"

Caos voli e rimpatrio negato al resto della sua famiglia. Uscire dal Paese in guerra è un'odissea per un altoatesino che si sente "senza via di scampo"

"Circa 200 italiani stanno rientrando su due aerei militari. I voli attivati su richiesta della Farnesina e coordinati con la Difesa arriveranno a Pratica di Mare. Orgoglioso del gioco di squadra che ha coinvolto l'Ambasciata italiana in Israele, il Consolato a Gerusalemme, l'Unità di Crisi e i militari". È il tweet del ministro degli Esteri, Antonio Tajani - retwittato dall'account della Farnesina - con cui alle 7:34 di ieri, martedì 10 ottobre, si annunciava in pompa magna il rimpatrio dei nostri connazionali che si trovavano in Israele, atterrati in tarda mattinata allo scalo militare alle porte della Capitale e finiti poco dopo su tutti i tg. Contemporaneamente il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, era in visita alla Sinagoga di Roma per portare solidarietà alla comunità ebraica italiana, assicurando ai giornalisti, subito dopo l'incontro con il rabbino capo Di Segni, che il Governo farà il possibile per rimpatriare tutti i cittadini. Un terzo aereo militare è stato attivato e atterrerà stasera. A bordo altri italiani, ma non tutti. 

Sono ancora tanti, infatti, i connazionali in Israele in attesa di scappare dal Paese in guerra. Tra loro c'è Marco Macari, di Bolzano, residente da 10 anni a Tel Aviv, dove vive con sua moglie, israeliana, e i loro quattro figli, tutti tra i 2 e i 7 anni. La sua storia merita di essere raccontata, perché rischia di scivolare sempre più a fondo in un imbuto fatto di disservizi, negligenza e burocrazia che lo lasciano "senza scampo", come ha raccontato a Today. 

Marco abita a Jaffa, la zona marittima di Tel Aviv, "come a dire Roma e Ostia" spiega, per rendere l'idea. Il suo palazzo ha 7 piani e un bunker di 120 metri quadri a disposizione per tutti, anche se non tutti riescono a scendere: "Quando parte la sirena devi essere veloce e ci sono anche persone anziane nel condominio, l'ascensore non si può prendere - racconta al telefono dal suo appartamento dopo una giornata di allarmi - Allora se non fai in tempo ti rifugi nei corridoi, che sono di cemento armato e sono le zone meno pericolose. Nel bunker si scende quando suona la sirena e quando smette di suonare devi aspettare un altro quarto d'ora prima di risalire. Il problema è la frequenza, a volte suonano una dopo l'altra e resti lì anche ore. Sentire le sirene è terrificante". Soprattutto per i bambini: "Si rendono conto di tutto. Cerchiamo di tenerli lontani dai traumi più pesanti, ma gli abbiamo spiegato cosa sta succedendo. Piangono ogni volta che sentono un botto, hanno paura. Proviamo a fargli vivere la normalità facendo giochi, distraendoli come si può". La vita da sabato scorre in casa, racconta ancora: "Siamo stati invitati dalle forze dell'ordine a non uscire, a prendere le provviste al supermercato, le medicine, e non muoverci per le prossime 72 ore perché si aspetta un attacco imminente di Hezbollah, dal nord. Israele è in guerra, la situazione è drammatica, di terrore. Si sentono i bombardamenti giorno e notte, ogni dieci minuti, e il rimbombo è sempre più vicino. Qui non ci sono ancora stati grossi impatti, pochissimi - spiega ancora Marco - Tre impatti nei dintorni di Tel Aviv, a 4 chilometri a nord di Jaffa. Un missile è caduto su un edificio vuoto, dove ci sono uffici, due invece sono stati intercettati e i pezzi sono caduti sulle macchine, provocando diversi feriti, fortunatamente non gravi". Quello che fa più paura, però, non sono i missili, a cui si dicono "abituati", ma le incursioni via terra. Sapere che qualcuno può sparare in strada, o peggio ancora irrompere in casa e compiere vere e proprie mattanze, come è accaduto in diversi villaggi e come Marco ha saputo in prima persona: "Un mio amico mi ha chiamato ieri per dirmi che hanno ucciso suo cugino, la moglie incinta di 7 mesi e 5 figli, a 35 chilometri a sud di Tel Aviv. Sono notizie sconcertanti. Ho saputo anche che a una ventina di chilometri a sud di Gerusalemme ci sono state incursioni armate di Hamas, sono entrati a casa di un familiare di un mio collega e li hanno uccisi tutti. A Tel Aviv le incursioni via terra non sono arrivate, ma abbiamo paura".

La 'beffa' del volo di rimpatrio

Marco Macari è tra gli italiani che hanno ricevuto una mail dell'Ambasciata italiana in Israele con l'invito a mettersi in lista per il volo di rimpatrio attivato dalla Farnesina. Bastava rispondere e comunicare i dati del passaporto. Un miraggio. E infatti. "Ho chiamato per verificare e mi hanno detto di inviare subito i miei dati per essere inserito nella lista" ha detto, ma il sogno si è infranto subito: "Ho chiesto se potevo portare anche mia moglie e i nostri figli e mi hanno risposto di no. Il volo è riservato ai cittadini italiani. Per loro dovrei lasciare moglie e figli qui se voglio andare via". Sono seguite altre due mail dell'Ambasciata, sempre con l'invito a comunicare i propri dati per il rimpatrio e prenotarsi. L'ultima la legge: "La presente per confermare che i voli in partenza Tel Aviv-Roma il 10 e l'11 ottobre sono già completi. Stiamo valutando insieme alla Farnesina la possibilità di inserire un terzo volo di rimpatrio. Qualora foste interessati a far parte della lista di prenotazione rispondere alla presente. NB: ricordiamo che potranno essere imbarcati solo passeggeri di nazionalità italiana". Un nota bene che è una sentenza e apre a un'importante riflessione - quanto urgente - sulla necessità di superare un cavillo burocratico in una condizione di assoluta emergenza, come una guerra in corso, o quantomeno di lavorarci. 

Sulla questione cittadinanza, Marco - che dal 2020 ha anche quella israeliana - apre una parentesi importante, denunciando disservizi dell'Ambasciata italiana in Israele: "I miei figli non sono mai riusciti ad avere la cittadinanza italiana per problemi all'Ambasciata. Ho preso tre appuntamenti e per tre volte mi hanno cancellato l'appuntamento pochi giorni prima. Ci ho fatto una croce sopra, ti danno appuntamenti a 6/7 mesi. Una volta ho conosciuto un carabiniere che lavorava lì, mi ha dato tutti i riferimenti, email e numeri di telefono per avviare le pratiche. Non sono riuscito a concludere niente neanche in quel caso. Anche lui, questo carabiniere, ha riconosciuto l'incompetenza a livello burocratico. Un disservizio totale". Il suo caso non è isolato, anche altri - ci riferisce - si trovano nella stessa situazione. 

Caos voli: la lotteria del biglietto

L'alternativa per lasciare il Paese è farlo con un volo di linea, e qui inizia un'altra odissea. Turkish Airlines e la compagnia di bandiera El Al sono attualmente le uniche due compagnie che ancora volano su Tel Aviv. Tutte le altre hanno interrotto i collegamenti. Questo significa pochi posti disponibili, un'alta probabilità che i voli vengano cancellati e prezzi alle stelle. Praticamente un terno al lotto. Una lotteria del biglietto, dove vince chi ha la fortuna di acquistare quello giusto, dribblando overbooking e aerei che non partono. Marco, che lavora in un tour operator, in questo non è certo uno sprovveduto, ma il caos è totale: "Ho chiamato un amico alla Turkish, mi ha fatto lui i biglietti ma sono stati cancellati oggi per overbooking. Poi ho visto che hanno cancellato proprio tutto il volo. Oggi ne ho presi altri, pagando ancora una volta, per dopodomani. Destinazione Monaco, in Germania vivono i miei genitori e i miei fratelli. Vediamo se cancellano anche questo. Il film è sempre lo stesso: o sono sold out, oppure compri il volo e poi lo cancellano". Qualche ora dopo la nostra telefonata, Marco ci avvisa per messaggio che hanno cancellato anche il volo che domani mattina lo avrebbe portato in Germania dalla famiglia. L'altro tasto dolente - e scandaloso - sono i costi: "Ho pagato più di 12 mila dollari finora. I prezzi sono allucinanti. Sono scioccato dall'avidità delle compagnie". 

Intrappolati in una morsa

Marco Macari e la sua famiglia sono intrappolati in una morsa, non solo burocratica purtroppo. Senza un volo è praticamente impossibile per loro lasciare il Paese. I confini non sono valicabili. A nord la Giordania - unica via di fuga possibile - ha chiuso le frontiere per i cittadini israeliani, dicendosi disponibile ad aiutare esclusivamente i turisti. "Siamo incastrati - ripete Marco - In Italia posso tornare ma senza moglie e figli, in Giordania non posso andare perché hanno chiuso i confini agli israeliani. Non abbiamo via di scampo". 

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